La generosa e umile arte di viaggiare: “Piccolo alfabeto per viaggiatori selvatici” di Eleonora Sacco

 

In peregrinationes oratio
Parliamoci chiaramente: non tutti i viaggiatori sono anime sensibili. Il turismo massificato degli ultimi tempi ha, semmai, dato a tutti la sensazione di avere il mondo (e le esperienze che esso comporta) a portata di mano, facendo circolare una vulgata per la quale viaggiare apre la mente, aiuta a crescere e a conoscere.
In realtà, credo si faccia un po’ di confusione fra fini e mezzi, e non solo quando si parla di viaggiare. Pensate ai libri: fare uno studio sulla lettura dividendola per importanza gerarchica (dalla letteratura rosa ai saggi di Popper) sarebbe forse un po’ classista, ma dire che “la lettura fa bene” tout court implica che stiamo potenzialmente considerando anche 50 Shades fra le potenziali letture benefiche e istruttive.
Perdonatemi la divagazione, e torniamo ai viaggi: in questo periodo gli effetti devastanti di una pandemia su tutte le nostre strutture (sanitarie, sociali, economiche) ci inducono a ripensare il nostro modo di vivere, e i viaggi non fanno eccezione: gli spostamenti aerei, in questi mesi, sono avvenuti solo se mossi da necessità, mettendo in crisi le compagnie low cost, che hanno consentito finora a milioni e milioni di persone di muoversi, è vero, ma con un costo ambientale impossibile da trascurare — per non parlare dei processi di gentrificazione e omologazione che ci hanno concesso di portare ovunque i nostri standard di vita, pagando il caro prezzo della diversità culturale. Inoltre, anche se il turismo di massa non tarderà a imperversare nuovamente, le città svuotate dei flussi massicci e sudati di turisti distratti e accaldati susciterà, spero, qualche domanda: siamo davvero sicuri che viaggiare in questo modo finora ci abbia aperto la mente? Che tornare ad alimentare l’economia delle città con questi flussi insostenibili di individui dalle necessità appiattite sia quello di cui abbiamo bisogno?
Voglio dire che il viaggio come panacea benefica ai nostri problemi, dallo stress all’intolleranza razziale, è una scusa con la quale ci siamo spesso concessi qualche capriccio di troppo — e quando dico siamo intendo assumermi anch’io la mia dose di responsabilità, perché siamo tutti più o meno coinvolti in questa narrazione di self-fulfillment edonista che fanno del viaggio una figurina da aggiungere all’album delle complesse esperienze che ci rendono individui interessanti, più che vere operazioni coraggiose di apertura mentale e scoperta.

Una risposta involontaria
In un periodo dunque in cui gli interrogativi sul modo in cui abbiamo vissuto (e viaggiato) finora si affastellano nella mente, il libro di Eleonora Sacco arriva come una sorta di risposta involontaria — laddove involontaria non significa che sia una risposta inconsapevole, ma che è una risposta che arriva al momento giusto forse suo malgrado, coincidendo con un periodo delicato in cui il bisogno di ripensare i flussi turistici per ragioni perlopiù sanitarie fa emergere il bisogno, già lungamente percepito (seppur da pochi) di ripensare questi flussi perché divengano più morbidi e sostenibili — per dirla con Eleonora, più selvatici.
La parola lascia adito a poche ambiguità: non troverete consigli à la Lonely Planet, né tantomeno itinerari confortevoli nei meandri delle città di cultura mitteleuropee. La natura selvatica del viaggio e del viaggiatore implica qui innanzitutto che si esca dalla propria comfort zone e dalle strade battute delle città d’arte: è un tipo di viaggio in cui non ci si può limitare a ricevere (ricevere conoscenza, ricevere servizi) ma in cui occorre dare, e “dare sodo”, se mi passate il termine. Un viaggio, insomma, omerico o fiabesco a seconda degli scenari e della destinazione, in cui si arriva stranieri per venire accolti, si tratti di un’auto mentre si fa l’autostop o di una vecchina che possa ospitarvi per la notte. In questo senso dunque i racconti dei viaggi di Eleonora sono fatti di persone, più ancora che di luoghi, e sono soffusi di una generosità che fa venir voglia di credere al karma, a un equilibrio ineffabile del mondo che le gift economies hanno intuitivamente cercato di replicare con saggezza.
Torno alla mia premessa: non tutti i viaggiatori sono sensibili, non tutti i viaggi sono sensibilizzanti. Eleonora ha l’immenso pregio di avere questa sensibilità, e di offrirla snocciolando una serie di ricordi gentili e duri insieme, della commistione lancinante che solo la vita vera possiede, e che Saffo aveva abilmente raccolto nell’ossimoro di dolceamaro (γλυκύπικρον).

Una nuova semantica del viaggio

Questo snocciolare i ricordi come fossero semi si collega alla forma che ha scelto per raccontarli, ovvero l’alfabeto.

Si tratta di una forma felice che sta guadagnando popolarità in tempi recenti, e che testimonia forse il nostro bisogno di tornare a una radice di senso comune in tempi che sono, semanticamente e cognitivamente, quantomai incerti, dando però a ciascun segno un’accezione unica, da un’angolatura tutta personale. E’ quello che fa Eleonora appropriandosi delle lettere dell’alfabeto. Il nostro primo approccio di bambini all’alfabeto è, infatti, il rapporto centripeto di associazione del segno alla parola, consentendo dunque di combinare un suono noto a un simbolo in modo univoco e chiaro. Al contrario, il piccolo alfabeto pensato da questa viaggiatrice umile e intrepida, generosa e coraggiosa è un alfabeto che de-automatizza questo rapporto di univocità, facendo cioè nascere le lettere sotto un segno nuovo e tutto personale, quello di ricordi di viaggio che non vogliono costituire una mappa coerente e organica fra loro, bensì un itinerario frastagliato, intermittente, personale — un’antologia di parole e di memorie, più che una processione di lettere; un breviario di umanità, più che una guida.
Oltre a essere una forma fruibile in modo dolce e invitante, mai impositivo, è una forma che funziona per cristallizzare picchi di intensità di un itinerario di vita — perché procedendo nella lettura aumenta la consapevolezza che il viaggio, per chi scrive, non è strumento, né fine, ma vita a tutto tondo, Weltanschauung complessa che acquisisce dignità rinnovata, specialmente nei bigi tempi sovramenzionati, in cui la modalità strumentale del viaggio come arricchimento del sé ha perso la sua matrice plurale.

Tre pregi e un alfabeto
Insomma, che Eleonora sia uno di quei rari viaggiatori sensibili, di quelli omerici, peregrini e dal cuore grande, è stato lungamente declamato. Non tutti i viaggiatori sensibili però hanno anche ricevuto in dono da Mnemosyne una capacità sopraffina di porre sulla pagina le proprie emozioni e le impressioni del mondo circostante con uno stile lucido e fresco, calibrato e consapevole ma ancora pieno di meraviglia. Anche in questo caso, però, il lettore che si imbatta nel piccolo alfabeto rimarrà piacevolmente sorpreso: perché oltre a essere un libro sensibile, è anche un libro miracolosamente ben scritto.
Come se non bastasse, a rendere ricca questa lettura è l’esperienza immensa di chi l’ha scritto, un’esperienza fatta di anni e anni di viaggi che sono avventure e scoperte, ma che sono soprattutto una testimonianza coraggiosa e forte di un’umanità varia, intensa e vivissima, quella che Eleonora ha incontrato nel corso delle sue peregrinazioni quasi omeriche nel bacino di mondo che ha esplorato: per cui si potrebbe dire che la geografia che disegna il suo libro non è una geografia di luoghi, ma una geografia umana, fatta di volti, sorrisi, rughe, calli, giovani e vecchi, che formano una trama elaborata e ricchissima di vite e di relazioni, che sono forse la parte più preziosa e intensa del retaggio che questo libro potrà lasciarvi.

Tornare a Itaca
Con questa recensione non ho la pretesa di insegnarvi come viaggiare — né tantomeno ce l’ha Eleonora con il suo alfabeto. Che questo sia, però, un consiglio e un monito, per la prossima volta che vi metterete in viaggio: sorridete in modo un po’ più aperto, allargate con gratitudine il cuore ai gesti spontanei che troverete per la strada, e scegliete, se potete, di non sprofondare nella confortevole sensazione di sicura agiatezza in cui ci ha messo la nuova concezione, così pericolosamente accessibile, così terribilmente globale, di viaggio. Quello che questo libro vi farà venir voglia di fare è tornare a essere generosi e selvatici nelle vostre scelte e nelle vostre interazioni col mondo che vi circonda. Ho come il sentore che non ve ne pentirete.

(Visited 79 times)
Francesca Sabatini
Francesca, bibliomane, melomane, acquarellista e dottoranda (nonché, evidentemente, appassionata di suffissi impegnativi). Quando non è occupata dalla ricerca nell'ambito dell'economia della cultura prepara tagliatelle per gli amici all'ombra delle due torri. Come Kafka, aspira a ritagliarsi "un posticino pulito sulla terra, dove il sole brilli talvolta"