OPEN WUNDERKAMMER 4. Prospettive di arte contemporanea a Venezia

Nell’ineffabile certezza che prima o poi qualcosa andrà perso, a testimonianza di quello che è stato – o che sarebbe potuto essere, resta l’Arte. Il 5 Dicembre 2020 si è infatti celebrata la sedicesima edizione della Giornata del Contemporaneo che ha visto il coinvolgimento di musei, fondazioni, istituzioni, gallerie e spazi d’artista per raccontare la vitalità e le novità dell’arte contemporanea presente in Italia. Momento, oggi più che mai essenziale, per rivendicare aspetti dell’esistenza e della pratica degli artisti e dell’arte che, altrimenti e specialmente in un silenzio istituzionale e nell’isolamento, rischia di essere dimenticato e di rendere sterili tutti gli sforzi fatti fino ad ora per inserire l’arte come parte integrante nella vita degli individui. 

Nella varietà delle offerte proposte la mia attenzione si è rivolta all’evento e mostra in corso OPEN WUNDERKAMMER 4, visitabile fino al 15 Gennaio presso la Galleria Visioni Altre di Venezia, a cura dell’artista e curatrice Adolfina de Stefani, che ha invitato gli artisti a riflettere sui linguaggi contemporanei rivolti, proprio come si legge nel comunicato stampa dell’evento, a cercare nonostante le divergenze economiche, culturali e geopolitiche a creare un insieme, una condivisione di idee che si spinga aldilà delle differenze per fare della comunione la propria arma vincente.

 

Presenti in questa collettiva sono le creazioni a firma di: Antonella Argentile, Federica Basso, Greta Boato, Marino Marinoni, Patrizia Nicolini, Mauro Pinotti, Davide Tramontin e Alessandro Scalabrini, artisti che sebbene aventi background e lavorando con tecniche e soggetti diversi, rintracciano nella ricerca artistica l’esigenza di esprimersi, di comunicare e di vivere, diffondendo attraverso le loro opere la voce di chi considera l’arte fonte di luce. 

Ed è proprio facendo eco alla tematica della luce che la giornata del Contemporaneo a Visioni Altre è stata inaugurata con l’azione performativa Judith di Federica Basso. Creazione dedicata alla figura di Giuditta intrinsecamente connessa alla festività di Channukà (festa ebraica delle luci) che ogni anno dal 10 al 18 dicembre si svolge nel campo del Ghetto in cui è situata la galleria, e che simbolicamente viene celebrata tramite l’accensione di una candela al giorno posta nel grande candelabro presente nella piazza. L’opera/performance di Federica Basso trova senso in un’immersione lenta e meditativa in cui l’intreccio tra il prendere, il togliere e il donare dialogano in una stratificazione che lascia radici impresse nel quadro composto da tessuto di canapa da lei maneggiato.

La sua opera Midbar Shabba, e la frase da lei scritta in ebraico nella vetrina della galleria durante la performance che rimanda all’idea: “anche una piccola luce può rischiarare l’oscurità”, rievocano la ricerca delle verità interiori, l’esperienza del deserto e un ritorno alle origini che, cosa interessante da notare, sono tutti concetti risiedenti nel vocabolo ebraico di midbar che pur essendo tradotto letteralmente in deserto, significa anche il posto della parola con cui l’onnipotente si esprime. Ecco, dunque, che ricerca di luce e verità e manifestazione della parola si incontrano in uno spazio che, ancora una volta, coincide con la parte più profonda dell’essere.  

Propensione mistica che riemerge anche nel quadro Seeing things till dawn di Antonella Argentile, in cui l’intensità chiaroscurale, gli intermezzi tra spazio e luce e i tratti delle sue figure danno vita a volti e forme umane che hanno nella metamorfosi la loro essenza. L’artista posizionandosi ai confini tra figurativo e dissolvenza svela la parte più nascosta dei suoi soggetti, ed è nel loro stato nascente che queste bellezze ancestrali invitano il nostro sguardo a perdersi. 

 

 

Volti umani introspettivi ed esaltati nelle loro peculiarità e difetti fisici si trovano invece nelle composizioni a olio, acrilico e matita di Patrizia Nicolini. Artista attiva dal 1991 in pittura ma anche nel campo del fumetto, dell’arte digitale e nella new media art, che nella figura umana ha posto la sua ricerca. I sentimenti di disagio, oppressione e sofferenza vengono in questa mostra comunicati attraverso i volti martoriati da lei presentati in cui risalta una lotta per la sopravvivenza e un impatto visivo che cattura lo spettatore senza concedergli tregua, e facendolo smarrire tra gli sguardi netti e inconsci che lo fissano difronte a sé.

 

Giocano tra una deformazione della visione o visione deformante i personaggi ritratti da Davide Tramontin. Arista che nella tele, come ad esempio Arabo a Bagdad o in Raskolnikov, imprime non soltanto la sua tecnica, ma in cui affiorano visibilmente le inquietudini e le passioni dell’uomo contemporaneo, abitante di terre in guerra e dal suolo bruciante; espresse ancor di più dalle sue pennellate che alla base mancano del disegno e che donano alle opere forza espressiva.

Su di un versante più astratto e geometrico si colloca la pittura di Marino Marinoni, attivo in Italia e all’estero dal 1975 cui nulla è casuale ma risultato di una ricerca continua. In Il Soldato, Nel rogo delle Streghe o in Cime tempestose emergono colori, linee, segni e forme che situandosi al di fuori della rappresentabilità, seguono il ritmo pulsionale dell’artista che in questi tratti fa danzare immagini fantastiche che aprono a scenari in cui l’osservatore e l’artista possono estraniarsi. Istanti di vita e sentimenti fissati sulla tela prima che scorrano via per sempre.

 

Petite histoire du Journal Intime di Greta Boato si presenta come un diario intimo impresso su carta. Spaziando da  dipinti ad olio, a serie lavorate con china, carboncino e grafite, fino a tastare la fisicità della materia, Boato ripercorre un viaggio personale e intimo che esplode in ogni suo colpo di pennello, che pur raccontandoci qualcosa su di lei è in grado di conservare segreti. Un canto corale cromatico in cui poter scrutare l’animo umano.

 

Assolutamente di stampo contemporaneo appaiono le opere di Alessandro Scalabrini. Artista che lavora con tecnica mista come ad esempio ritagli di giornali, fotografie e un imprimente utilizzo della biro, realizzando collage in cui parole e immagini si intersecano generando un conflitto di idee che danno vita a universi altri, e che nell’alternanza tra provocazione e umorismo attraverso la loro struttura circolare infrangono idealmente la linea del tempo per trasformarsi, proprio come suggerisce lo stesso artista, in attimi che passano davanti alla nostra visuale per poi spostarsi.

E la forma dei dischi di Alessandro sembrano voler evocare l’impercorribilità di un tempo infinito che inesorabilmente ci sfugge.

 

E a concludere emergono le sculture paesaggistiche di Mauro Pinotti in cui scenari urbani silenziosi di ferro e cemento costruiscono ipotetiche città immaginarie, facendoci viaggiare in metropoli di indefinibile temporalità.

 

Una mostra OPEN WUNDERKAMMER 4 che pone l’arte contemporanea, e non solo, come una necessità a cui non possiamo e non dobbiamo rinunciare. Abbandoniamoci dunque alle visioni per costruire nuove prospettive.

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Silvia Cegalin
Classe 1985, Silvia è un’articolista freelance. I suoi articoli sono apparsi in Alfabeta2, Menelique, Philosophy kitchen, Kasparhauser-rivista di cultura filosofica, e recentemente anche per Kabul magazine. Tra le sue pubblicazioni creative invece vi sono il racconto “ge-Word-en” sulla rivista Rapsodia (2015) e la flash fiction “Mater(ial)” sul magazine californiano Rabid Oak- Issue 16/Otttobre 2019.