ABITO: arte e catcalling, per disturbare e sensibilizzare

Una conversazione intima con il progetto digitale che vuole fare divulgazione sul tema del catcalling

ABITO. Per un’ontologia del femminile attivo da febbraio 2021 sui social network – Instagram e Facebookporta avanti, attraverso l’arte, una battaglia di sensibilizzazione sul tema del catcalling, la violenza verbale di strada nei confronti delle donne. I promotori del progetto, che vogliono restare nell’anonimato,  scelgono di puntare tutto sulla loro rete di artiste provenienti da tutta Italia. Danzatrici, cantanti, musiciste, artiste visive, circensi, poete, ceramiste – da Bologna, Lecce, Milano, Roma – raccontano, attraverso il loro linguaggio artistico, la violenza la molestia verbale e il catcalling. 

Come si legge sul loro sito, ABITO – progetto piccolo che sogna di diventare grande – nasce a Bologna, in una casa del centro storico immersa tra portici e pareti arancioni, con la voglia di intessere una rete su tutto il territorio nazionale per denunciare il catcalling. Attraverso l’arte e la cultura ABITO vuole ​disturbare, provocare e raccontare le cose nella loro interezza. Per spingere verso un cambiamento!
Ho fatto una chiacchierata con la squadra operativa di ABITO per scoprire da quale esigenza nasce il progetto e quali sono gli scenari futuri post-pandemia.

ABITO. Per un’ontologia del femminile: dalla genesi del progetto al perché del nome. Qual è il focus e perché proprio ABITO?

ABITO è un progetto corale di ricerca artistica e sensibilizzazione sul tema del catcalling, la diffusa pratica della violenza verbale di strada nei confronti delle donne.  L’intero progetto ha avuto inizio dall’ennesimo episodio di catcalling subito: una sera di fine agosto 2020, tornando a casa dal lavoro, ero al telefono col mio compagno quando mi sono imbattuta in due ragazzi che hanno iniziato a fischiare nella speranza di attirare la mia attenzione. Li ho ignorati, come sono solita fare, eppure dall’altra parte del telefono ho percepito un senso di sgomento e interdizione. Nei giorni successivi mi sono confrontata con un’amica che ha confermato, a sua volta, di subire catcalling frequentemente. Da queste riflessioni e dalla necessità di portare maggiormente alla luce questo fenomeno è nato il desiderio di creare una rete capace di essere veicolo di denuncia e, insieme, di conforto: un tentativo per ottenere un cambiamento sociale radicale.
Il nome del progetto è la perfetta combinazione di significati per esprimere al meglio le sfumature di quello che vogliamo fare: ABITO non è solo vivere uno spazio, un vestito o un’abitudine. Per noi ABITO è anche la stoffa di cui siamo fatte, il volto che vediamo ogni mattina allo specchio, è come ci vestono gli altri – con i loro occhi e le loro parole – ma è anche, e soprattutto, la necessità di costruire un’alternativa. Tutti noi abitiamo, in noi stessi e nella società, e sarebbe auspicabile poterlo fare ovunque, liberamente e senza paure.

Opera di Maria Rosaria Deniso, in arte Ecco Saria, per ABITO

Oltre la denuncia e l’informazione, ABITO non è solo un progetto di divulgazione e sensibilizzazione. Si percepisce la sua volontà di superare, attraverso l’arte, la dolorosa esperienza della violenza verbale di strada. Perché? Da cosa nasce questa esigenza creativa?

L’arte è sempre stata il mezzo migliore che conosco con il quale esprimermi e allo stesso tempo salvaguardarmi. Durante un processo creativo si ha il tempo di fermarsi a riflettere e rielaborando un evento traumatico si ha la possibilità di trasformarlo in qualcosa che possa essere di sfogo e ispirazione sia per noi stesse sia per gli altri. Il catcalling lo viviamo tutti i giorni e, da anni, ne sentiamo parlare, ma solo in questo ultimo periodo sembra essere tornata alla luce la volontà di volere e dovere pretendere dei diritti che dovrebbero essere ormai radicati fin dagli anni ’70, grazie alle lotte femministe. Purtroppo non è così! Ecco perché risulta necessario partire dalle piccole ingiustizie che per molti vengono catalogate come “costume” e “tradizione” e che, purtroppo, sono ancora radicate in un sistema patriarcale nel quale uccidere una donna è sbagliato, ma trattarla come se fosse un pezzo di carne o, peggio, vederla come se fosse di proprietà di qualcuno è ancora socialmente accettatoL’arte è da sempre uno strumento potentissimo e senza tempo ed è giunto il momento di utilizzarlo per lottare e far sentire la propria voce, che insieme a quella di altre persone, darà vita a un coro che non potrà più essere ignorato.
Proprio per questo motivo in questi due mesi e mezzo abbiamo coinvolto già 14 artiste dando vita a una comunità sensibile e pronta a mettersi in gioco condividendo la sua arte e la sua poetica. Fanno parte del progetto (fino ad oggi): la danzatrice Melissa Antonelli, la crew Sexy Bombs, Valentina Cavagnis, Stella Visconti e Giorgia Roscioli; le artiste visive Alessandra Tescione, Rebecca Sforzani, Carmen Avilia e Mariarosaria Deniso; la circense Anna Pinto e la pianista e compositrice Kalamari. 

Opera di Anna Pinto, in arte La Balena Bianca, per ABITO

ABITO mese per mese, sui social e sul sito. Contenuti statistici e approfondimenti linguistici inerenti al catcalling, collaborazioni con artiste di ogni ambito e disciplina. Su cosa si concentra attualmente la vostra ricerca e come avete dato vita alla vostra community?

ABITO nasce dalla curiosità di indagare un fenomeno che conoscevamo bene, ma di cui non sapevamo molto. La ricerca inizialmente ci ha portato a conoscerne le definizioni e a cercare ricerche che ne fotografassero la situazione in Italia e nel mondo. La prima scoperta che abbiamo fatto è che in Italia è un fenomeno poco studiato e raramente riconosciuto come molestia sessuale: ci sono ancora molti personaggi della società e della politica che lo assolvono come un semplice e innocuo “complimento”. Il primo obiettivo di ABITO è quello di condividere le ricerche per portare a conoscere il fenomeno attraverso dati scientifici e inequivocabili. Per questo abbiamo pensato di creare una comunità nelle uniche piazze che ancora si possono calcare durante una pandemia: i social network (Instagram e Facebook). I social ci danno la possibilità di arrivare in maniera diretta anche ai più giovani,  possibili prossimi carnefici o vittime: conoscere è la prima arma per sconfiggere il catcalling. 

Un sito on-line raccoglie i contenuti che vengono condivisi mensilmente  e ne crea una narrazione attraverso approfondimenti – tra cui il progetto di formazione Stand-up International, Con gli occhi delle bambine. Atlante dell’infanzia a rischio” di Save the Children Italia – e nuovi contenuti. Attraverso i nostri mezzi di comunicazione, ogni settimana, vengono presentati tre tipi di approfondimenti. I primi sono raccolti nel Glossario: selezioniamo e diamo una definizione dei termini che raccontano il fenomeno per poterne tesserne un’ontologia. I secondi sono raccolti nei Dati: da una parte condividiamo ricerche che fotografano il catcalling in maniera oggettiva e inequivocabile, dall’altra cerchiamo progetti che suggeriscono soluzioni. Infine, non certo per importanza, l’Arte: ogni fine settimana presentiamo un progetto curato da artiste di tutta Italia che danno voce a questa lotta con il proprio mezzo artistico. ABITO nasce dalla volontà di rispondere creativamente a un comportamento distruttivo. Inoltre l’arte, con il suo ascendente terapeutico, riesce a esorcizzare il catcalling e a sublimarlo in un’opera, espressione più potente di qualsiasi altra parola. A ogni artista affidiamo un input creativo, una suggestione o uno spunto artistico e chiediamo di tradurlo attraverso il proprio mezzo espressivo in qualcosa di personale. La prima community, finora virtuale, che abbiamo creato è stata proprio quella della artiste, che cresce ogni settimana.

Per ora ABITO. Per un’ontologia del femminile è un progetto esclusivamente digitale, avete in cantiere qualcosa per il futuro – Covid19 permettendo?

ABITO è presente solo on-line in questo momento. Il Covid19 ha congelato molte delle nostre attività in presenza, ma il catcalling continua a serpeggiare all’angolo di ogni strada. La necessità di iniziare a fare qualcosa di concreto ci ha spinte ad approdare ai primi mezzi disponibili: i social network e internet. Al giorno d’oggi è quasi indispensabile essere presenti online, ma non vediamo l’ora di poterci incontrare di persona e passare dalla community alla comunità. Il nostro prossimo obiettivo, in tempi brevissimi e zona gialla permettendo – è quello di attivare un numero whatsapp (+39 3519095178) a cui donne e ragazze di tutta Italia potranno inviare la propria testimonianza di catcalling raccontandoci l’episodio attraverso un messaggio vocale. Un gesto semplice ma che, purtroppo, prevediamo possa costituire una banca dati numericamente significativa, un’antologia di voci – come la chiamiamo noi – in grado di fotografare, ancora una volta e in maniera diversa e diretta, l’orrido fenomeno della violenza verbale di strada. Al costituirsi di questo archivio di voci-testimonianze daremo il via a delle residenze artistiche per creare la nostra prima performance dal vivo il 25 novembre 2021, in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Speriamo inoltre che questo tipo di mappatura del fenomeno possa contribuire a sensibilizzare l’opinione pubblica per l’istituzione di una legge che renda il catcalling un reato. In Francia, per esempio, è già punito penalmente e i trasgressori sono perseguiti con una multa da 90 a 750 euro; simili misure esistono in Belgio, Portogallo, Finlandia e Nuova Zelanda, mentre in Gran Bretagna è allo studio una nuova legge. In Italia, invece, sono ancora “solo complimenti” e questo non è più accettabile.

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Francesca D'Agnano
Meglio detta Franca. Classe 1991. Pugliese di nascita, bolognese di adozione, una laurea in Linguistica Italiana e la passione per il caffè senza zucchero. Cambia spesso colore di capelli, è una conservatrice seriale e adora scrivere a mano. Fa l'operatrice culturale e nella vita ha scelto di raccontare storie, cose e persone.