Discomfort Dispatch

Il festival musicale che unisce al fallimento economico reiterato un successo artistico virale

A Bologna si è sviluppata una scena artistica underground davvero vitale, come non si vedeva da decenni. La particolarità di questa ondata va compresa sommando la solita vita universitaria alla crisi degli ultimi anni. Le due hanno colliso assieme e creato una sospensione temporale, gabbia e culla, per 20enni come per 50enni in un’infinita giovinezza, dove è possibile ancora sperimentare. Entrare nella scena alternativa è come entrare in un’altra dimensione, dove le regole economiche non valgono più.

Negli ultimi anni è nato un piccolo fenomeno musicale, un festival della durata di poche ore, che ha ottenuto un successo artistico virale, ma al tempo stesso è ogni volta però un totale fallimento dal punto di vista economico: il Discomfort Dispatch.

Discomfort Dispatch mina alla base l’antagonismo fra musica colta e punk, fra accademia e squat, facendolo deflagrare nell’unico luogo possibile: il palco. Discomfort Dispatch ha contenuti solo per sbaglio, profitti solo per dispetto, un collettivo e una dimora precisa, ma solo per una sera, e ha un linguaggio ma vorrebbe non averlo. Discomfort Dispatch supporta la sperimentazione estrema e le gioie dell’acufene. Discomfort Dispatch è per il declino del mercato della musica.
NO PARTY – NO MUSIC – NO ROCKSTARS – NO LOVE

Il DD è una serata in cui musicisti, più o meno famosi e poco conosciuti, vengono invitati ad esibirsi assieme in un live, a queste condizioni:

  1. non devono aver suonato mai assieme prima;
  2. il set è improvvisato;
  3. il set dura 20 minuti.

Il tutto riassumibile in “attacca e suona”.

Ho intervistato Francesco Zedde e Mario Guida, l’iniziatore e l’organizzatore di uno dei Discomfort Dispatch. Iniziamo con Fra Zedde, l’ideatore del Discomfort Dispatch.

Ho letto che ti sei ispirato a un altro Festival, il Multiversal. Quali sono le differenze con il DD?

Le differenze sono molte, nello spazio, nel tempo e nei personaggi. DD è un nipote di Multiversal, nella misura in cui nasce dalla stessa scena in un tempo successivo, con il tentativo di portare avanti alcuni degli stessi principi con lo stesso metodo e una struttura riadattata. La differenze macroscopiche sono: Multiversal è per lo più itinerante, DD ha sede a Bologna; in Multiversal le lineup sono miste, mentre in DD c’è il vincolo dei duo.

Come si mantiene economicamente un DD?

DD non ha bisogno di mantenersi, è solo un’idea su come organizzare un evento di improvvisazione libera. Ogni edizione ha le sue spese e i suoi ricavati a seconda delle condizioni e del luogo scelto. Ovviamente, è necessario un grande impegno da parte dell’organizzatore e una collaborazione particolare da parte dei proprietari del locale e dei musicisti. DD è un fallimento economico – ovvio: se ci piacessero i soldi non faremmo questa roba.

Cosa offrite allora ai musicisti in cambio della loro performance?

Il deal per i partecipanti a DD è molto semplice: il totale degli ingressi alla porta va agli artisti che lo dividono in parti uguali. Molto spesso gli artisti locali scelgono di lasciare la propria parte in favore degli artisti che hanno viaggiato, per permettere loro di coprire le spese. Questa roba ci serve per far incontrare le persone e stimolare la collaborazione, per quel che mi riguarda in un certo senso farei anche a meno del pubblico.

Eppure sono moltissimi i musicisti che accettano queste condizioni.…

In un certo senso, il DD è vantaggioso anche economicamente per chi suona, perché chi partecipa assorbe un’esperienza, un sacco di concerti altrui, contatti e nuove amicizie, sembrano cose non monetizzabili, ma sul lungo periodo sono cose preziose anche economicamente. Esempio? In questa fase della mia vita vivo di musica e guadagno dei soldi da quello che faccio, ma lo stato di cose che mi hanno portato a questa realizzazione è stato reso possibile solo da centinaia di concerti pagati male. Ad ogni modo il mio invito a organizzare un’edizione a sé stante del festival non è rivolto solo a Mario Guida, ma a chiunque. Non stiamo parlando di un brand o un brevetto, è solo un modo di fare una serata e chiunque deve sentirsi libero di imitarci o collaborare.

Parliamo ora con Mario Guida, musicista elettronico e organizzatore dell’edizione #14 del Discomfort Dispatch.

Perché hai deciso di organizzare un DD e perché nella tua carriera di musicista elettronico ti sei spesso organizzato da solo le serate nei vari locali italiani ed europei?

Non ho deciso io, ho solo accettato un invito da parte di Fra Zedde (l’ideatore de Festival) . Non prendevo parte alla organizzazione di eventi da un paio d’anni. Ho accettato la sfida con l’idea di allargare ancora di più i confini artistici del festival, accostare l’ibridazione di generi musicali con pratiche artistiche diverse fino ad arrivare alla performance o alla video arte. Nell’edizione n14 in scaletta ci sono state almeno due performer ed un video artista. Perché spesso mi sono organizzato da solo i miei concerti ? Beh, che alternativa ho ?

Cosa cerca un musicista quando viene al DD e si confronta con gli altri nei termini dell’“attacca e suona”?

Tutto o niente. È in tour o di passaggio, cerca o cristallizza la sua rete di relazioni, sperimenta, vende gadgets.

Perché è difficile veder suonare strumenti classici e facile invece che si suoni musica elettronica?

E’ una domanda complessa. Se ti riferisci al festival probabilmente il motivo principale sta nel fatto che sia nato dall’azione di musicisti elettronici dell’underground bolognese che ha “pescato” dal proprio giro di contatti costituito appunto da musicisti elettronici sperimentali. Con le varie edizioni la rete si è contemporaneamente esaurita e per assurdo anche allargata. La curiosità nei confronti del festival è cresciuta a dismisura sia tra pubblico che tra i musicisti, e la voglia di azzardare mix di idee, approcci e background musicali differenti ha spinto gli organizzatori ad includere nelle Line Up spesso anche artisti che suonano strumenti classici. Non solo, si è arrivato al punto tale da invitare personaggi che non gravitano nell’underground, personalità di spessore del mondo Accademico, del Rock, del Free-Jazz, della Contemporanea etc etc (vedi l’edizione n.9 organizzata da Francesco Zedde). Ad esempio nell’edizione 14 del 10 Marzo 2019 a Bologna abbiamo avuto tra gli ospiti John Duncan e Stefano Pilia – la ciliegina sulla torta, perché festeggiavamo due anni di Discomfort Dispatch.

E come la mettiamo con il corrispettivo ai musicisti e con l’aspetto economico, che difficoltà hai trovato in particolare?

A quanto ne so, l’economia del festival nasce e muore nel giro di una notte ed è prodotta dal pubblico pagante. A quanto ne so, il Discomfort Dispatch non ha finanziatori. Questo è un ostacolo che i curatori delle varie edizioni devono affrontare ed in qualche modo superare. Ad esempio io per l’edizione n. 14 ho dovuto rinunciare alla presenza di tre artiste valide e desiderose di partecipare all’evento – provenienti da Torino, Roma ed Avellino – proprio a causa dell’aspetto economico. Ammetto che i costi di viaggio per loro erano davvero onerosi.

Chiedo a Zedde prima di chiudere: e se ci fosse una lezione morale in tutta questa vicenda, quale sarebbe?

La lezione morale potrebbe essere che le persone dovrebbero sforzarsi, quando possibile, di perdere tempo ed energie a fare cose che non portano dell’arricchimento istantaneo: fare festival e suonarci dentro è un arricchimento per la società e anche per uno strato culturale (o scena) nella quale poi comunque sguazziamo tutti e dalla quale io, ad esempio, dipendo anche economicamente. Se le persone smettessero di essere curiose nei confronti della musica alternativa di fatto io smetterei di avere il lavoro che faccio, è molto semplice. Comunque, se chiunque avesse dei suggerimenti o idee per fare quadrare i conti di un festival occasionale con una media di 30 ospiti per sera che fanno musica di nicchia per un pubblico che di norma si fa problemi a spendere più di 5 euro di ingresso SONO TUTTO ORECCHIE.

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