L’isola dei giocattoli

Savinio. Incanto e Mito

Nel 1888 Evaristo de Chirico e la moglie Gemma Cervetto vivono a Volos, Grecia. Lui ingegnere ferroviario di nobili origini palermitane, lei baronessa genovese. Hanno una figlia, Adelaide, che purtroppo muore in giovane età. Il 10 luglio nasce Giorgio. Tutti lo conosciamo.
Passano tre anni, Evaristo e Gemma si trasferiscono ad Atene e il 25 agosto del 1891 nasce Andrea Francesco Alberto noto, forse a pochi, con il nome d’arte Alberto Savinio.

Questo è il suo mondo.

Giovane enfant prodige musicale, si diploma in pianoforte presso il Conservatorio di Atene a soli dodici anni e dal 1906 studia contrappunto a Monaco di Baviera con Max Reger, compositore retrospettivo e barocco, di certo non rivoluzionario. La rivoluzione per Savinio arriva con lo studio della filosofia di Schopenhauer, Nietzsche e Weininger e con l’incontro a Parigi con Guillaume Apollinaire, estroso e irrequieto padre di racconti fantastici, di versi liberi, dell’abolizione della punteggiatura e dei Calligrammes.
A ventitré anni si trova a Ferrara come volontario dell’esercito, ma fa il passacarte più che l’uomo d’azione. Ma Ferrara è anche la “città solitaria di geometrica bellezza”, metafisica fortezza sospesa nel tempo e congelata in un’attesa fatale dove “tutto perde colore nel tempo vuoto”. Qui frequenta il circolo artistico di de Pisis, Carrà e Govoni e mette a punto i principi teorici della pittura metafisica, la ‘sostanza lirica delle cose’.
Ritornato a Parigi nel 1925 si dedica alla pittura esponendo sia a Parigi che in Italia. Negli anni di guerra si trova a Roma dove scrive e pubblica alcune delle sue opere letterarie più famose. Negli ultimi anni è costumista, drammaturgo e scenografo e collabora senza sosta con il Teatro alla Scala di Milano.

Vita di Enrico Ibsen, Alberto Savinio, Piccola Biblioteca Adelphi, 1979 –
Illustrazione di Veronica Leffe

Personaggio eccentrico, colto, dai mille interessi, Alberto Savinio è un intellettuale dalla complessità inesauribile, capace di intessere trame tracciando simmetrie sempre nuove tra memorie autobiografiche, miti classici e riflessioni filosofiche rimodulate per dar vita a situazioni inventate e paradossali, senza soluzione di continuità tra il possibile e l’incredibile in un linguaggio visionario e avanguardistico.

“Savinio ha lo stesso cervello di de Chirico, questo misto di mito e humour. Certamente più brillante di lui e così scortese. Sempre al di sopra delle cose di cui parla, ha la risolutezza delle persone che solo profondamente sanno quel che sanno e con la certezza irremovibile di cosa dia il pensiero elevato e la pura poesia. Non è molto alto, capelli scuri, miope, grassoccio, e parla mescolando una gran quantità di parole. André lo stima molto”. Con queste parole il 7 luglio 1924 la moglie del ministro del culto nascente, André Breton, descrive Savinio.

Savinio tuttavia non stimava molto Breton. Iniziatore per quanto incolpevole del Surrealismo, Savinio sconfessa la linea surrealista ispirata all’inconscio come rappresentazione di ciò che non ha ancora preso forma, di ciò che la coscienza non ha ancora organizzato. Il surrealismo di Savinio è guidato da una volontà formativa, da un ‘apostolico fine’, un intento civico che vuole dare forma all’informe e coscienza all’incoscienza attraverso un attento uso e controllo dei meccanismi della creazione: un approccio analitico e studiatamente colto che difficilmente si concilia con l’immediatezza della scrittura automatica surrealista.

Previous slide
Next slide

La mostra Savinio. Incanto e Mito al Museo Nazionale Romano di Palazzo Altemps fa luce sull’eclettico e poliedrico mondo dell’artista attraverso circa 90 lavori selezionati tra dipinti e opere grafiche come bozzetti, schizzi, quaderni, manoscritti, fogli dattiloscritti e libri provenienti da istituzioni pubbliche e collezioni private.

La sua frenetica e singolare produzione artistica è la somma di tanti talenti espressi contemporaneamente. Muovendo dalla letteratura ‘noir’ e orfica, dalla reinterpretazione personale più che filologica della filosofia greca attraverso i pensatori tedeschi di fine Ottocento, le opere esposte mettono in risalto la particolarità di un linguaggio sarcastico e tagliente che coniuga “antico e moderno, estetica e ironia, memoria e mito, in una visione totale oggi di grande attualità”.

La poetica di Savinio, abissale e mutevole, frutto di un’immaginazione instancabile, si combina a un costante sguardo demistificante di matrice nietzschiana che guarda al mondo come a un immenso giocattolo. I colori vivaci e le forme geometriche dei ‘giocattoli’ di Savinio irrompono come fulmini improvvisi di un incanto a occhi aperti fra le statue classiche, capolavori della statuaria romana, greca ed egizia e i saloni rinascimentali di Palazzo Altemps creando cortocircuiti inattesi e suggerendo nuove affinità e nuovi contrasti.

Previous slide
Next slide

L’unicità del linguaggio di Savinio è evidente fin dalle prime sale. Le opere esposte, trasparenti e segrete, sembrano alludere allo squilibrio di una realtà sospesa, all’utopia di un mondo ideale, di una spazialità ludica, di un “fiabesco immaginario privato” i cui ritmi si contrappongono al naturale flusso del cosmo. Ci troviamo nel mondo del colore smagliante e, al tempo stesso, del rigore geometrico, della natura e dei materiali della civiltà industriale, degli uomini-dei con il volto da animali che richiamano i miti greci, ricordo dell’infanzia dell’artista. Le montagne, le isole, le spiagge invase da giocattoli coloratissimi e geometrici si stagliano su paesaggi della memoria, cupi o sfumati, su mari e montagne esistenti solo come nostoi, veicoli di un nostalgico viaggio di ritorno verso la patria infantile.

Previous slide
Next slide

“Grande privilegio essere nati all’ombra del Partenone: questo scheletro di marmo che non butta ombra. Si riceve in eredità una generatrice di luce interna e un paio di occhi trasformatori”.

Sono quegli occhi a bucare il reale, a rivelare il senso di sorpresa, il senso di fatalità che squarcia il moderno, la forte attrazione in cui quel “sognatore definitivo” troverà la sua origine.

La sala del Galata suicida ospita il Savinio scenografo e costumista. Maestosa e solenne, racchiude le invenzioni pittoriche e sceniche che l’artista ha realizzato per l’allestimento dell’Oedipus Rex di Igor Stravinskij su testo di Jean Cocteau messo in scena alla Scala di Milano nel 1948, e per I racconti di Hoffmann di Jacques Offenbach, di nuovo alla Scala nel 1949. Le opere si intersecano tra un genere e l’altro in rimandi continui nell’ininterrotto intrico di finzioni, sovrapposizioni e incastri dai colori vivi, smaglianti di materia, luce e suoni.

Sullo sfondo, Hoffmann e la Musa, 1949. Firenze, Gabinetto G.P. Vieusseux, AGCV, Fondo Alberto Savinio
Previous slide
Next slide

La mostra prosegue con gli dei dell’Olimpo di Savinio, impiantati nell’Olimpo greco-romano di Palazzo Altemps: temi e figure ricorrenti dell’immaginario saviniano si intrecciano in un viaggio iniziatico fra classicità antica e moderna alla fine del quale però si raggiunge un Parnaso più simile al Tartaro, la prigione tenebrosa del mito.
Apollo dal volto di oca fronteggia la statua di Urania che sorregge il globo; una Bataille de centaures si svolge affannata sotto gli occhi impassibili di Igea, dea della salute e dell’igiene; Les Dioscures dal corpo statuario, simbolo dell’alleanza d’un tempo tra uomo e animale, proteggono un’Afrodite accovacciata, mentre i rossi, i verdi e i gialli accesi di un Prometeo acefalo contrastano con il marmo candido di Hermes Loghios in un percorso di svelamento della realtà e della sua conoscenza.

Previous slide
Next slide

Le opere di Savinio innescano un gioco perverso e ironico, un magico rituale metamorfico, dove umanità e animalità si mescolano come in un collage folle e fanciullesco. Personaggi familiari o risvegliati da miti antichi danno vita a nuovi bestiari di immagini ormai ibridate e disgiunte da ogni logica naturale, assemblate in dimensioni nuove e sconosciute.
Queste figure mitiche, figlie di ricordi sviluppati “al caldo e al buio” del proprio intimo, nascono da urgenze ordinatrici, tanto umane quanto divine, intessute a drammi secondo ritmi che spesso somigliano a quelli della musica.

A fare da guida in questo percorso è la traccia della memoria fatta prosa come consapevole stratificazione di saperi, tradizioni, usi e culture, ombre del passato da affrontare con l’animo e lo sguardo di un bambino.
Un viaggio tanto personale quanto universale lungo il quale “schegge di albori dell’universo, dell’infanzia, degli illuminanti incontri con personalità rivoluzionarie sono ricucite nella singolarità dell’opera”, nel miraggio di un tempo indefinito e di uno spazio di eteree tensioni che esiste solo là dove terra e cielo, materia e anima, si incontrano per dar vita all’immaginazione.

È questo il mondo di Alberto Savinio, compositore, drammaturgo, costumista, scrittore e pittore, ora forse non più così sconosciuto.

Savinio. Incanto e mito. Exhibition view at Palazzo Altemps, Roma 2021. Photo Studiozabalik. 

(Visited 678 times)
Alessandra Pelucchi
Architetto per formazione, europrogettista per professione e sommelier per passione. Innamorata dell’Italia per le sue mille diversità, di Roma perché è come un libro con pagine infinite e della pasta al pomodoro, perché spesso le cose più semplici sono le cose più belle. Inguaribilmente curiosa, come fanno i bambini non smette di chiedersi il perché di ogni cosa. Inguaribilmente determinata, come fanno gli adulti si incammina per tante strade.