Ten answers / Manuela Bosio

Le parole non hanno rimedio, è vero. Una volta ascoltate non si possono più cancellare e rimangono scolpite per sempre, spesso in posti dell’anima che non vorremmo risvegliare, ogni tanto in luoghi dove ci piace tornare a visitarle. “Parole senza rimedi” è il blog di Manuela Bosio, in cui si dipanano con elegante precisione gli indefiniti viaggi quotidiani che ci permettono di esplorare i nostri moti più delicati.

  1. Sembra che viaggiare in prossimità prometta più rivelazioni e sorprese di quanto non faccia una trasferta intercontinentale. Il viaggio così risulta uno stato emotivo e contemplativo che non può fare sconti. Chi viaggia non scappa, al contrario si guarda allo specchio.

La dimensione del viaggio è sempre un mistero affascinante che varia da persona a persona, soprattutto quando si parla di viaggi interiori. Il viaggio, in sé, è sempre un muoversi, un avvicinarsi o allontanarsi a o da qualcosa. Curioso che i Latini indicassero, tra vari i significati del verbo “movēre” anche quello di “trasformare”. Viaggiare è, dunque, sempre, un atto rivoluzionario. Si parte e si torna cambiati. Poi, se il viaggio è inteso come conoscenza di sé, e viaggiare e guardarsi allo specchio coincidono, spesso l’atto di conoscenza e trasformazione è ancora più profondo, un toccarsi, attraverso lo specchio, un ri- conoscersi, un conoscersi di nuovo (o per la prima volta?).

  1. Le parole del viaggiare sono etichette abusate che la dicono lunga. ‘Staccare la spina’, ‘ricaricare le batterie’, la stessa ‘vacanza’ significa semplicemente vuoto. Siamo in cerca di un altrove? Serve a qualcosa?

Quando arrivo in un luogo mi capita spesso di non ritrovarmi subito. A New York come a cinquanta o a venti chilometri da casa, mi accade che, durante i primi giorni viva il viaggio con un lieve senso di straniamento. Penso infatti a quella leggenda di cui mi parlò un’amica, per cui si dice che, in ogni esperienza di viaggio, l’anima possa arrivare un po’ dopo il corpo nel luogo stabilito. 
“Non riesco a godermi la città” “Be’, forse la tua anima non è ancora arrivata”. Quanto all’altrove da ricercare in una vacanza, non ho formule. Spesso cerchiamo di fuggire da noi stessi, di arredare questa assenza, senza ricordarci che, prima o poi, l’anima arriva ed è impossibile resisterle.

  1. Quando ci muoviamo indossiamo altri abiti mentali? Ci trasformiamo davvero? Quantomeno riusciamo a metterci a nudo?

Quando viaggiamo portiamo i vestiti che sembrano essere più adatti. A volte ci sbagliamo, altre volte sono proprio quelli che ci si addicono. Facciamo una valigia di abiti interiori che spesso somigliano a quelli esteriori e molte volte cerchiamo di camuffarci, di conquistare quella “vacanza”, la terra di nessuno capace di allontanarci da noi stessi, per poterci, forse, riappropriare di noi. Non so se questi abiti interiori possano trasformarci davvero, spesso sono maschere e costumi (anche da bagno! Rido) che ci cuciamo addosso per dimenticarci di cosa siamo, almeno per un po’, in un gesto ri-creativo.
E quando ci spogliamo non è sempre un metterci a nudo. Ricordo che a volte, per quello, basta il silenzio.

  1. In ogni caso, al ritorno difficilmente riusciamo a mantenere quell’allure scanzonata che ogni tanto riportiamo a casa dopo un viaggio. Magari non ferite aperte, ma qualche cicatrice rimane.

Ritornare è sempre complicare. Tornare a casa, tornare a se stessi, implica spesso un piccolo trauma. Quando torniamo da un lungo viaggio apriamo la porta e, per un attimo, anche la nostra casa non sembra più la stessa. Dura un secondo, poi tutto ricomincia a fluire. Siamo noi, in realtà, a non essere più gli stessi? Forse, ma è meglio non dirlo a nessuno, perché poi, volenti o nolenti, si torna in noi, solo con un pezzettino in più (o in meno?)

  1. Molti sono condannati a brevi viaggi quotidiani. Cambia qualcosa nel loro atteggiamento? Il fatto di muoversi li rende più leggeri? E che rapporto costruiscono con gli altri che sono costretti allo stesso percorso? Si solidarizza, si ignora, si disprezza?

Penso che quasi tutte le persone, chi per studio, chi per lavoro, siano costrette a piccoli o grandi spostamenti quotidiani. Muoversi crea sempre reazioni molto varie in ognuno di noi. Non so se sia più leggerezza o solo fatica. Ho viaggiato in treno tutti i giorni durante gli anni dell’università e del corso abilitante all’insegnamento e, se ne ho l’occasione, viaggio in treno anche ora. Di questi spostamenti quotidiani, spesso da girone dantesco, per la bolgia o per il clima, dal gelido al bollente, ricordo soprattutto la gente. Mi piace osservare le persone, seguire i movimenti, i tic, lacerti di discorsi iniziati o mai terminati, una geografia umana che il viaggio breve valorizza per la sua unicità. Il giorno dopo tutto si ripete, ma spesso nulla è uguale.
Abitiamo per brevi tratti spazi che non sono luoghi definiti, ci scambiamo sguardi e cenni che durano un attimo. poi la vita, fuori, è tutta un’altra storia.

  1. Le tue narrazioni – sembrano quasi delle confessioni a te stessa – osservano dettagli infinitesimali, atmosfere minuscole, segni impercettibili. Leggendo “Parole senza rimedi” si ha l’impressione che tu non senta il bisogno di viaggiare. Parlo di viaggi lunghi e larghi. È così?

Amo viaggiare, ma ho iniziato relativamente tardi a farlo. Negli anni dell’infanzia ricordo tutto un mondo intorno a me che iniziava a muoversi, mentre io rimanevo immobile, in estati lunghissime della cui noia, tuttavia, spesso sento la nostalgia. Proprio in quegli anni infantili ho iniziato a viaggiare con l’immaginazione. Grazie ai libri e alla fantasia ho raggiunto mete lontane ben prima di visitarle fisicamente.
Poi, durante l’età adulta, ho viaggiato molto, ho conosciuto luoghi e città anche molto varie e distanti, assorbendo da ogni viaggio qualcosa che mi ha reso a volte nuova, a volte antica, sempre a contatto con le cose del mondo e del Tempo.

Non so cosa si percepisca di tutto questo nei miei post sul Blog. Spesso sono piccole parentesi in cui il viaggio non si percepisce, sono luoghi sospesi, forse più legati alla dimensione mentale che a quella fisica. Molto frequentemente sono viaggi all’interno di me, un piccolo scavo in profondità. Un lavoro da minatore. Un po’ come la poesia, che spesso trova le ali solo scavando a fondo.
Qualche volta sono viaggi nel tempo, percorsi nel cuore degli attimi, istantanee già sbiadite di sentimenti lontani e vivissimi, cristallizzati. A volte sfuggono, come certi venti, utili per navigare e andare lontano. A volte invece stanno fermi, immobili, in un tempo indefinito.

  1. Raccontare un luogo lontano scoperchia ogni tanto magagne locali, come Montesquieu nelle “Lettres persanes”. Oppure manifesta una sorta di struggimento, come forse Salgari nelle sue saghe esotiche. Che cosa possiamo scoprire di noi una volta passato il confine del nostro quartiere?

Il viaggio, indubbiamente, ci porta sempre a conoscere qualcosa di noi. Quindi, anche il   racconto di un luogo, passando attraverso il nostro “filtro” personale diventa una sorta di “trasformazione” attraverso la nostra lente, un po’ come nella “lanterninosofia” di Pirandello. Il paesaggio si arricchisce di elementi attraverso il nostro sguardo. L’efficacia del racconto dipende, comunque, da come il nostro sentire è predisposto all’ascolto dell’anima dei luoghi. Ho conosciuto persone che si definivano “viaggiatori” ma che, per poca sensibilità o una sensibilità del tutto diversa dalla mia, non sembravano essersi mai mossi da casa.

La narrazione dei luoghi per me deve essere un’attività simile a quella del minatore, come ho già detto, o dell’archeologo. Attraverso lo scavo, attraverso le parole, si deve dare luce al cuore delle cose, alla bellezza dei luoghi, vicini o lontani essi siano.

  1. I tuoi allievi formano una mappa? Le loro storie, le loro giornate si intersecano in qualche modo dal tuo punto d’osservazione? A distanza di tempo, che cosa ti confessano di aver capito o cambiato grazie alla tua lettura delle cose?

Se pensiamo alla geografia delle nostre esistenze, sicuramente tutto ciò che ci riguarda si fa mappa della nostra vita. Nella mia geografia, dunque, la presenza dei miei allievi è un elemento importante, sia per un fatto temporale quantitativo – le ore che passo con loro durante la settimana, le ore che ho passato nel tempo e che passerò in futuro – sia dal punto di vista qualitativo – il tempo insieme a loro che si fa esperienza interiore.

Non so se per loro sia lo stesso, tuttavia credo che il lasso di tempo trascorso a scuola sia sempre un’esperienza esistenziale unica e pregnante, formativa, nel bene o nel male, e credo che chi fa il mio lavoro abbia una grande responsabilità e un grande potere, quello di poter influire sui pensieri degli altri, di condizionare l’amore o l’odio per una materia, un libro, una frase.
Spero, comunque, sempre, di lasciare qualcosa, anche solo una parola, che, anche dopo anni, possa aver mosso qualcosa in loro, nel loro modo di leggere il libro del mondo. Una parola come un piccolo oggetto che si porta a casa da un viaggio.

  1. La società è già multiculturale, per quanto molti cerchino di fermare il tempo e tornare alle certezze manifatturiere. I bimbi e gli adolescenti sono pronti, o ancora c’è da aiutarli ad accettare un crogiolo di diversità?

Io credo che i bambini e i ragazzi siano gli esseri umani più tolleranti di tutti. Lavoro insieme a loro da molto tempo e penso che siano veramente spesso più maturi e inclusivi dei “grandi”. La questione spesso si complica più in là, fuori dalla scuola, fuori dalla spensieratezza dell’infanzia e dell’adolescenza, soprattutto dentro i social e dietro maschere e schermi che rendono più confortevole il proliferare dell’odio e dell’intolleranza.
Per questo, anche se spesso rischio di perdere tempo, porto avanti strenuamente la mia battaglia per l’ascolto e la valorizzazione di ogni opinione dentro le aule di scuola. Perché insegnare la tolleranza e la libertà non è mai scontato.

  1. Mallarmé suggerisce percorsi accidentati, mai prevedibili, ricchi di tante connessioni. Che cosa ne possiamo trarre per costruire un manuale del viaggiare?

Certamente Mallarmè è un poeta che ricerca il senso nell’interiorità, attraverso uno stile denso, spesso ermetico, carico di mistero e di parole che spesso evocano qualcosa di molto lontano da quello che si percepisce a prima vista. Mi piace il suo modo di muoversi tra i significati e la capacità di lasciare sospeso il lettore, quasi invitandolo a completare da sé il significato delle sue immagini poetiche. I viaggi di Mallarmè sono labirintici e possono portare a perdersi, in modi del tutto legati al caso (ricordiamo il famoso “coup de dés”) o scelti con cura. Io penso che non si possa creare un “manuale” del viaggiare valido per tutti, poiché il viaggio è sempre esperienza anche soggettiva, ma che da Mallarmè possiamo prendere un suggerimento importante: in ogni viaggio c’è una meta ma anche il bisogno di “spaesarsi”, di perdere se stessi, le proprie certezze, e raggiungere una nuova curiosità e un nuovo modo di conoscere i luoghi – e se stessi – attraverso essi.

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