Ten answers / Yasmine Helou

L’impero sta declinando, e si entra in un tempo di migrazioni e invenzioni. Nuovi clerici vagantes si spostano e si fermano. Non è più chiaro che cosa concepiscano, che cosa imparino, che cosa ricreino. Soprattutto, non serve granché restare ancorati alle etichette, e conviene errare: vagabondare e sbagliare al tempo stesso. Versatile e geniale, Yasmine Helou sembra giocare con l’infinito, godendosi la vertigine dell’indefinito e costruendo reti impalpabili e solide fra talenti e fermenti.

  1. Profondità e leggerezza sembrano essere le tue cifre. Possiamo dire che il tuo approccio professionale è identico alla tua visione personale delle cose? In fondo si può essere seri senza essere pesanti, semplici senza essere superficiali.

Pasolini diceva “Seri bisogna esserlo, non dirlo, e magari neanche sembrarlo!”. Ciò che non sopporto è la pedanteria, allora sì, spero di essere seria nelle cose che sto intraprendendo, e le idee che mi animano, però mi congratulo di non sembrarlo quasi mai … È più facile convincere e far sognare quando si è allegri!

  1. La galleria che ospita le mostre di Venice Art Projects si apre sul rio che chiude via Garibaldi. Le calli da percorrere sono intitolate a Sant’Anna e San Gioachin, i genitori di Maria di Nazareth. Come dire: verginità e fertilità al tempo stesso.

“Fertilità” sicuramente, siamo riusciti a organizzare un vero e proprio programma curatoriale di mostre ed eventi in questi spazi molto speciali, coinvolgendo tante persone diverse e dinamiche. “Verginità” magari anche sì, se penso a tutte le prime personali che abbiamo ospitato… Penso a Troubled Waters di Jacopo Zanessi, a Be Gentle With Me di Lily Moebes, o anche Hakawati Retold di Jasmine Abu Hamdan…
E tutte le altre iniziative che abbiamo aiutato a creare e sviluppare, dando così voce a giovani talenti del mondo culturale veneziano e non solo.

  1. Dando un’occhiata dal finestrone si vede un ambiente basico, con una piccola fontana che sembra alludere alle evocazioni di Carlo Scarpa, ma ricorda anche il fluire sonoro dell’acqua come ritmo sereno. Gli artisti ne tengono conto?

Ricordo la prima volta che sono entrata in questo spazio in Fondamenta Sant’Anna, la prima cosa che ho notato è stata questa fontana/lavandino, e all’epoca stavo cercando uno spazio espositivo per una mostra che pensavo di intitolare Sinkingscapes… E “sink” significa “lavandino” in inglese, quindi era veramente un segno del destino. Dovevo assolutamente  fare questa mostra in questo spazio specifico, e ovviamente mantenere l’idea originale del titolo!

E poi questa mostra ha segnato l’inizio della mia collaborazione con Venice Art Projects, portandomi a curarne altre ma anche invitare curatori, e co-produrre una serie di eventi presso questi spazi /ex botteghe, di Castello.
Per rispondere alla tua domanda, sì a loro proprio modo tutti gli artisti e curatori, prendono in considerazione questa particolarità dello spazio, ma la fluidità dell’acqua nel canale di fronte, fa sì che alla fine tutto si riporta a questo, e anche nel modo di organizzare le cose, c’è una specie di tranquillità e serenità in questi luoghi che colpisce tutti.

  1. Venezia è ormai ingolfata di oleografie e dileggi. Chiudendo gli occhi – e l’arte ce lo permette intensamente – si ricostruisce la sua storia di snodo mediterraneo, centro di commerci, fucina di saper fare e teatro di scambi.

Anche senza chiuderli, bisogna solo sapere dove guardare, o meglio dove non guardare. Lo è tutt’ora, quando penso a tutte le persone che vengono a Venezia per creare nuove opportunità, formando sì un villaggio, però estremamente cosmopolita e diverso. Siamo un po’ un manicomio a cielo aperto, è per quello che ci sentiamo così bene qui…

  1. La tua parabola veneziana è sufficientemente lunga per fare qualche bilancio: che cosa puoi mettere nell’elenco dei risultati? Rifaresti tutto come hai fatto? E che cosa manca ancora?

A titolo personale, sono molto contenta del mio percorso. Prima di tutto perché sono ancora a Venezia! La prima volta che sono venuta a Venezia, ho avuto la sindrome di Stendhal, cioè sono rimasta colpita, quasi scioccata dalla bellezza, dalla magia di questa città… e questo sentimento non mi ha mai lasciata. Ed è proprio per questo motivo che ho scelto di viverci, e di creare nuovi progetti pensati per Venezia, a Venezia, con persone che condividono le mie stesse motivazioni e credono nel potenziale della città, fuori dagli schemi turistici mainstream. È un privilegio poter viverci e lavorarci, anche se per certi versi complicato, rimane e rimarrà sempre magico.

Nell’elenco dei risultati, posso mettere tanti progetti, anche la lezione che ho dato allo IUAV (haha), ma penso che la più grande soddisfazione sia vedere le mie idee concretizzarsi, e sentire che la gente si interessa veramente a ciò che promuovo. Che cosa manca ancora? Beh… spero tante cose!! Sento di avere ancora tante cose da fare, specialmente qua a Venezia! Comunque, la cosa che manca quasi sempre è il budget. Scherzo, però si, forse più supporto da chi può darlo, intendo chiaramente istituzioni, ma anche collezionisti e mecenati…

  1. Parliamo ancora di Venezia. Quanto a lungo resisti ancora in fondo a via Garibaldi? I fermenti ancora invisibili sembrano moltiplicarsi, li guardi a distanza o ti ci innamori? La tua vocazione di mentore creativa può guardare lontano.

Via Garibaldi non so… Già da gennaio mi sono distaccata dalla gestione di questi spazi, è stata una bella avventura ma un po’ troppo intensa… Curare tre spazi espositivi da sola, e poi con il carattere che ho, a voler sempre fare cose, ero esausta già a dicembre… Rimango comunque in contatto stretto con Venice Art Projects, però diciamo che sono di nuovo libera. Sono stata in Messico a Febbraio per una mostra che curavo durante la settimana dell’arte, poi  ho avuto lo spazio mentale di scrivere per diversi cataloghi, e per questa biennale ho dato una mano a varie iniziative, ho aiutato la Galerie Poggi, francese, a organizzare un incontro con l’artista Ucraino Nikita Kadan e il caporedattore di Artforum David Velasco, ho coprodotto Manovra, una mostra collettiva organizzata dal collettivo La Mediterranée con opere di Loulou Siem, Mateo Revillo, Marcella Barceló et Edgar Sarin. Da lontano ho anche aiutato gli organizzatori del Decentralized Pavillion, una mostra molto ambiziosa di NFT. A settembre curerò una mostra personale dell’artista libanese Alfred Tarazi con cui collaboro da qualche anno, qui a Venezia, forse in via Garibaldi, forse altrove…

The Memory of Artificial Landscapes, Loulou Siem – copyright Elena Andreato
  1. I linguaggi si stanno moltiplicando come nella torre di Babele, non a caso distrutta per la sua molteplicità ambiziosa. La laguna è ancora capace di costruire un glossario creativo specifico? Per gli artisti vale la pena ‘passare’ da Venezia?

Mi divertono tutti questi riferimenti biblici nelle tue domande… È difficile limitarsi al solo ‘passare da Venezia’, una volta che ci passi, non ti lascia più… Penso di sì, la laguna è ancora capace di costruire un glossario creativo specifico e originale, e lo sta facendo. Magari non tramite i soliti giri istituzionali e biennaleschi, ma attraverso questa scena artistica emergente, estremamente resiliente e dinamica, sempre pronta a creare nuove realtà e nuove atmosfere creative.

  1. La tua vocazione cosmopolita mescola visioni, conflitti e questioni irrisolte. Puoi trovare una lettura comune delle cose negli artisti che curi? C’è un orientamento che sta prendendo forza nella tua strategia curatoriale?

Per me il curatore si presenta come il direttore d’orchestra che conduce il pubblico ad ascoltare e capire la musica dell’artista. Il mio lavoro è molto eclettico, in un certo senso… però direi che il fil rouge che lo dirige è probabilmente che preferisco quasi sempre lavorare con artisti più o meno della mia generazione, o emergenti, dandomi la possibilità di conversare e crescere filosoficamente insieme, provando sempre a creare ambienti, situazioni, spazi immersivi.

Ci sono temi che mi sono cari, vista la mia storia personale. Per esempio, mi ha resa molto orgogliosa portare a Venezia il lavoro di Jasmine Abu Hamdan, con Hakawati Retold. La mostra consisteva in una riproduzione del panorama sonoro del mercato di Aleppo (oggi sparito per causa della guerra in Siria), facendo così rivivere un patrimonio tangibile tramite il suo patrimonio intangibile, ossia le storie registrate presso il mercato.

Omnibus, Works by Lily Moebes and Alfred Tarazi
  1. Da figlia del Mediterraneo credi nel caso, e non hai bisogno di mascherarlo comodamente da destino o provvidenza. Perché il caso possa generare visioni e azioni occorre essere rapaci. Quali segnali scatenano le tue reazioni?

Le cose succedono, poi tocca a noi farci qualcosa. Penso che bisogna saper navigare sulle onde buone che ci si presentano davanti. Il feeling con le persone è il segnale più forte, ovviamente certe volte mi sbaglio e le collaborazioni possono essere deludenti, ma anche questi errori sono primordiali. L’importante è evitare l’apatia totale, perché può essere molto dolce, molto comoda, so di cosa parlo (haha) e ci fa perdere l’emozione generata da tutte le nuove imprese che possiamo intraprendere quando il momento giusto arriva. 

  1. Guardiamo avanti: ci ritroviamo a Venezia fra dieci anni. Che cosa rimane, che cosa è cambiato? Possiamo immaginare che gli artisti avranno finalmente ridisegnato il respiro della città e della sua comunità?

Auguriamocelo. Però non sarebbe giusto dare tutta questa responsabilità solo a loro. Deve essere uno sforzo comune, e penso che il Comune di Venezia debba puntare su chi realmente si interessa a questa Città.  Sono molto contenta di ciò che Generali ha fatto con le Procuratie, se vogliamo puntare su un futuro intelligente e sostenibile per la città, bisogna investire in nuove idee, creare spazi di scambio culturale e dialoghi internazionali, e non denigrare la creazione artistica, le nuove tecnologie e i giovani in generale… Cosa rimarrà? Non lo so. Cosa cambierà? I Veneziani. Stanno già cambiando, i Veneziani di oggi sono quelli che decidono di rimanere in laguna, di dedicarsi alla città, e spesso sono stranieri. Venezia è sempre stata internazionale, questa è la vera venezianità.

 Ci rivediamo fra dieci anni per parlarne…?

Troubled Waters – copyright Yasmine Helou
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