Procida OFF

Guida al perdersi e trovarsi nelle strade della capitale della cultura

“Vorrei trovare un’espressione per la duplicità del mondo, vorrei scrivere capitoli e frasi in cui melodia e antimelodia apparissero contemporaneamente, in cui al molteplice si affiancasse sempre l’unitario, al faceto il serio. […] Vorrei fare continuamente vedere che bello e brutto, chiaro e scuro, peccato e sanità non sono che antitesi momentanee”.

Così scriveva Herman Hesse nelle ultime pagine de La cura, che vedeva nell’accettazione dei contrari, nell’accogliere l’idea che “la vita consiste soltanto nel fluttuare tra due poli, nell’andare e venire” la cura contro le angosce dell’uomo.

Nel dossier di candidatura a Capitale della Cultura 2022, Procida ha presentato la sua terra come un luogo di “potenza di immaginario e concretezza di visione”: un luogo, si potrebbe dire, con la testa rivolta verso il cielo e i piedi ben saldi a terra, che ha concretizzato il desiderio hessiano rendendo la dialettica degli opposti un armonioso ensemble. A Procida gliel’ha insegnato il mare, probabilmente, quell’andare e venire: il suo fascino si trova nel non cavalcare l’onda di quella frenesia che chiamiamo progresso, ma di lasciarsi cullare dalle acque del tempo.

Si passeggia piano per le strade strette tra salite e discese, tra cielo e terra, tra terra e acqua, e ci si ferma davanti al panorama più bello, quello da cartolina, quello che si vede dal vecchio carcere che prima era il gran palazzo dei Borboni; il vecchio carcere in cui si filava il lino per il corredo delle spose, per il vestito delle feste. Si passeggia piano per le strade dove luce e buio si alternano, tra le case graziose e colorate, il vanto procidano, alloggi di pescatori; quelle case con i portoni lasciati ancora aperti, con le vecchie buchette per la posta che hanno i nomi scritti a penna e i dépliant delle offerte dei supermercati.

Si passeggia piano per le strade solitarie, mossi dal vento che è presenza costante, e si sente la calma, un silenzio che mette a disagio perché è un silenzio che lascia risuonare l’ingranaggio dei pensieri, i movimenti delle viscere, il battito del cuore, la vita messa a nudo. Si passeggia sotto lo sguardo gentile degli abitanti che si avvicinano per indicarti la strada anche se non gliel’hai chiesto, che ti sorridono anche se non ti conoscono, che ti fanno sentire a casa tanto da indurre a credere che la cura, come prescrive stavolta la Casciani, “se davvero ne esiste una, sono le persone”.

Il tuo percorso potrebbe difatti rallentarsi, fermarsi, piacevolmente, se ti imbatti nei procidani. Potresti trovarti a parlare mezz’ora buona con la signora Franca dell’alimentari accanto all’hotel, e con le altre donne che ti raccontano di non aver mai pensato una vita lontane dall’isola, lontane dalla stretta del mare; quel mare in cui si tuffano forse solo una volta l’anno ma che guardano ogni giorno, e da esso si lasciano guardare. Potresti trovarti a parlare con il proprietario del ristorante che tra un saluto e l’altro ti hanno consigliato, quel proprietario riverente che dopo ogni portata si avvicina per sapere cos’altro hai ordinato, che si assicura che tu abbia scelto i suoi piatti migliori, il pesto di limoni che ricorderai con la stessa nostalgia per la cupola di Santa Maria delle Grazie Incoronata bagnata dal tramonto.

Non io ma noi” è scritto a caratteri cubitali lì di fronte, in Piazza dei Martiri, su un poster pieno di foto di procidani che lungo la strada hanno lasciato non solo consigli di viaggio che nessuna guida canonica sarebbe in grado di dare, ma veri pezzi di poesia: “Vai sul punto più alto di Terra Murata. Chiudi le mani a pugno lasciando una piccola apertura. Poggia le mani sugli occhi e chiudi una palpebra alla volta. Concentrati a percepire la distanza tra una stella e l’altra. Continua ad esplorare fino a scoprire la stella più vicina all’isola.

Entra nel giardino sul mare dell’incanto. Osserva con calma i particolari della vegetazione. Continua fino a scoprire l’unico esemplare di fiore al mondo che hai sempre cercato. Sdraiati sullo scoglio Cannone. Poggia un foglio di carta copiativa sulle palpebre chiuse e lascia che l’immaginazione scorra liberamente. La carta copiativa trasferirà sul mondo il tuo processo di immaginazione.”

Non stupisce come abbia ben fruttato l’immaginazione in quegli scrittori, registi, artisti e cantanti che hanno raccontato di Procida e della sua autentica magia, è certo che la fantasia continuerà a vagare grazie a questo prezioso conferimento di capitale della cultura: una vittoria più per noi, che per l’isola, una vittoria che sta permettendo a tanti di scoprire insieme a Procida anche un po’ di quel polifonico sé.

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Sabrina Spadaro
Laureata in Lettere, si è trovata a lavorare come analyst e web developer perché la coerenza non è il suo forte. Le piacciono anche il mare, i tramonti rosa, i paesini bianchi con i fiori colorati e le parole scelte con cura. Dicono di lei che non è contenta se non è in mezzo al caos.