Venezia è bella ma ci vivrei

Uno sguardo local sul turismo veneziano

Avevo 18 anni, la maturità alle porte e non avevo idea di cosa fare da grande. Il mio unico desiderio era andarmene via da Venezia. Le sbarre di quell’isola felice erano diventate troppo strette per me, che ero avida di vita. Mi sentivo come una passeggera a bordo del Titanic – tanto per rimanere in tema di Grandi Navi – che guardava con disgusto i violinisti sul ponte della nave. Imperturbabili, quelli continuavano a suonare, noncuranti della sempre maggiore inclinazione dell’asse. Io ero ancora in tempo, potevo saltare giù, raggiungere una scialuppa e salvarmi. Così ho fatto. La mia scialuppa si chiamava Bologna, ma questa è un’altra storia.

Facciamo un passo indietro. Fino ad allora, sentivo gli adulti parlare di com’era diversa la Venezia degli anni ’80. Non riuscivo a immaginarmela, una Venezia vivibile, io che ero nata a metà degli anni ’90, quando il turismo mordi e fuggi aveva già preso il sopravvento. Pensandoci, rende l’idea: mordi, e poi fuggi. È diventato uno stereotipo, ormai. Immaginatevi un turista straniero che scende dalla nave da crociera esaltato, pronto a prendere d’assalto una Disneyland giusto un po’ più antica. E se poi, malauguratamente, proprio quel giorno sopraggiungesse l’acqua alta, il suo stato di eccitazione crescerebbe ancora di più. Lo vedremmo sfilarsi le scarpe, autocompiaciuto, e sguazzare a piedi scalzi in una Piazza San Marco allagata, ignaro del rischio incombente che noi “local” ben conosciamo: inciampare in qualche sudicia pantegana. Ed è proprio l’acqua alta uno degli ultimi ricordi vividi che ho della Venezia pre-pandemia. L’acqua granda del novembre 2019 aveva inondato campi e calli, anticipando uno scenario apocalittico che – chi l’avrebbe mai detto – avremmo visto irrompere, ed espandersi a macchia d’olio, nei mesi a seguire. Era un segno, un preludio di una Venezia che non ce la fa più.

Acqua granda 2019: https://it.mashable.com/life/1027/emergenza-venezia-acqua-alta-da-record-non-succedeva-dal-1966

Non mi piacciono i numeri, ma detesto anche cadere nei cliché, vittima di una sorta di determinismo autobiografico. E allora mi sono documentata. Secondo un’analisi condotta nel 2018 dal gruppo di ricerca di Jan Van Der Borg, docente di Ca’ Foscari e figura di spicco nell’ambito del turismo veneziano, la capacità di carico di Venezia è di 52 mila visitatori al giorno, numero ampiamente superato già nel 2018, quando il numero di presenze turistiche è arrivato a 77 mila. Ma il dato davvero sconcertante è che, dei 77 mila citati, ben 57 mila sono, almeno sulla carta, turisti escursionisti che visitano Venezia in giornata. Solo una minoranza sono invece turisti residenziali. È impressionante pensare a come il gruppo degli escursionisti, da solo, superi di gran lunga la capacità di carico della città.

Negli anni, ho visto la mia città svuotarsi dei suoi abitanti. Da 65 mila che eravamo quando ho iniziato le elementari nel lontano 2001, ora siamo scesi sotto i 50 mila. Inutile dire che il turismo mordi e fuggi ha peggiorato progressivamente la qualità della vita della popolazione residente, inducendola a levare le tende. Ricordo ancora quando una mia compagna di scuola, con gli occhi gonfi di lacrime, ci aveva salutati tutti prima di trasferirsi a Mestre con la famiglia. Gli affitti da capogiro e l’assenza di prospettive lavorative svincolate da un ecosistema turistico ormai saturo sono solo alcune delle ragioni che hanno portato i veneziani a spostarsi verso la terraferma. Anche per chi possiede un immobile a Venezia è decisamente più conveniente affittarlo a turisti, tramite Airbnb e spesso al di fuori di qualsiasi regolamentazione, spostando la propria dimora altrove.

Overtourism pre-pandemia: https://www.theguardian.com/cities/2019/apr/30/sinking-city-how-venice-is-managing-europes-worst-tourism-crisis

Era questo il palcoscenico dove ogni giorno mi ritrovavo costretta ad indossare la maschera della ragazzina incazzata, che a Venezia ci era nata, e che prima ancora di trovare il suo posto nel mondo faceva con gli amici una gara di slalom speciale tra i turisti impiantati in Ruga Rialto, o a chi conosceva la scorciatoia migliore – notare che a Venezia le scorciatoie non sono necessariamente le strade più brevi, anzi, a volte tecnicamente sono più lunghe; le distanze si misurano in base alla viabilità, che sarebbe a dire in base alle presenze umane che bloccano il passaggio.

Facciamo un salto in avanti, è il 10 marzo 2020. Ho finito gli esami della magistrale, mi concedo qualche giorno a casa con la mia famiglia. O almeno, quello è il piano. Da un paio di giorni Venezia rientra nelle città etichettate come zona rossa, abbiamo battuto sui tempi il lockdown nazionale. È sera, l’aria è tiepida. Voglio uscire. Non mi è ancora chiaro se i poliziotti mi fermeranno chiedendomi dove sto andando. Me ne frego. Campo San Polo è enorme, non me n’ero mai accorta. Cammino verso Rialto. Se mi fermano, la scusa è la farmacia di turno. Di solito, da Campiello dei Meloni a Campo Sant’Aponal prendo una calletta parallela a quella principale, una scorciatoia, appunto. Ora non ce n’è bisogno. Faccio il percorso standard, quello segnalato per i turisti. È vuoto. Sembra un miraggio.

Campo San Polo durante lockdown

Da quel momento Venezia si è fermata per davvero. Le acque limpide dei canali e gli sciami di papere che dal canale salgono sulla riva diventano il simbolo locale del risveglio della natura, quello di cui parlano tutti i giornali e i TG dopo la quotidiana conta dei morti. È un palliativo mediatico, un barlume di vita in mezzo a tanta desolazione. Il Covid-19 è una malattia, ma è anche una cura, un “respiratore” naturale e a costo zero per un pianeta sofferente. E poi diciamolo, Venezia senza turisti è uno spettacolo unico, una prima mondiale.

Rialto durante lockdown

Ci risiamo, servono i numeri. Nel 2020, Venezia ha visto un calo di oltre il 72% delle presenze turistiche annue (ben 9,4 milioni in meno). Le misure imposte dai decreti di allora, dalla chiusura delle attività al divieto di assembramento, all’impossibilità di uscire dalla propria abitazione se non per motivi certificabili, si sono tradotte in una drastica diminuzione degli arrivi e delle presenze in città. In quel periodo, se da una parte i lavoratori coinvolti in attività commerciali e turistiche ne hanno risentito pesantemente, dall’altra tutti noi residenti ci siamo spontaneamente riappropriati dei nostri luoghi natali e di un’identità che stava per essere del tutto inghiottita dai vortici turistici.

Mercato di Rialto durante lockdown

Personalmente, empatizzavo con i commercianti in cassa integrazione, ma al tempo stesso non potevo mentire a me stessa e non ammettere che una Venezia così, un giorno, mi sarebbe mancata. Mi chiedevo per quanto tempo sarebbero rimasti chiusi negozi, ristoranti, bar ad uso esclusivo dei turisti. E se mai avrebbero riaperto. Auspicavo silenziosamente un ripopolamento del centro storico da parte degli ex-residenti, gli stessi che qualche anno prima si erano trasferiti sulla terraferma. Mi piaceva immaginare una sorta di migrazione di ritorno, una graduale riappropriazione degli spazi residenziali. Quando poi, nei mesi estivi del 2020, è cresciuto in tutta Italia un turismo di prossimità, prevalentemente regionale, si è aperta la strada per un potenziale ripensamento delle rotte turistiche che implicasse un decentramento dei luoghi di interesse, rafforzando l’offerta turistica di borghi e aree interne poco conosciute. Ebbene, questo scenario così confortante (spoiler!) non è mai esistito, e tanto meno a Venezia.

Piazza San Marco durante lockdown

È bastato poco perché tutto tornasse come prima, anzi, peggio di prima. Fiumi di turisti hanno ripreso ad occupare ogni centimetro quadrato del percorso che da San Polo porta a San Marco, per non parlare di tutta Riva degli Schiavoni. L’overtourism si ripresenta brutale, risvegliando le coscienze istituzionali, che già qualche anno prima avevano incentivato la musealizzazione di Venezia dotandola di tornelli all’ingresso. Dopo quel tentativo fallimentare, dall’estate 2021 si parla dell’introduzione di una sovrattassa per entrare a Venezia, pensata per arginare il turismo di massa. La misura, seppur non ancora ufficialmente approvata dal consiglio comunale, dovrebbe entrare in vigore a partire dal 16 gennaio 2023. Il costo del ticket di ingresso dovrebbe variare, a seconda dei giorni della settimana, da 2 a 12 euro. Così, secondo il sindaco Brugnaro, i turisti sarebbero incentivati a visitare la città nei giorni infrasettimanali per risparmiare qualche euro.

Tra le categorie di esenti figurano anche i familiari e gli amici in visita, per i quali il residente dovrebbe però attivare un QR code su una specifica app. Secondo Brugnaro, questo sistema favorirebbe un turismo di qualità, ma a Venezia diremmo più volgarmente un turismo per chi ga schei. Inutile dire che questi provvedimenti contribuiscono tutti a una mercificazione di Venezia, a renderla a tutti gli effetti un parco tematico di lusso, costruito sulla carne viva (e non sullo scheletro) di una città che un sostrato di autenticità lo conserva ancora.

Anziché il ticket, sarebbe utile invece ridistribuire le licenze commerciali per decentralizzare le attività destinate ai turisti, attuare una politica di regolamentazione degli affitti brevi, e al limite stabilire una soglia minima di presenze in città. È essenziale e urgente che la città esca e si svincoli dalla monocultura turistica e che le istituzioni, insieme agli abitanti, riprendano in mano le redini. Solo così, rafforzando l’identità dei luoghi e mettendo in moto sinergie tra le istituzioni, le piccole imprese locali e i cittadini veneziani, sarà possibile pensare a una politica di ridistribuzione dei flussi. Venezia dovrebbe riuscire a mantenere la propria attrattività, ma valorizzando l’offerta turistica anche delle zone residenziali, delle isole minori, delle zone popolari di Castello o di Santa Marta, ma anche dei territori del Triveneto che le gravitano intorno. Solo così, il centro storico della città insulare potrà continuare a vivere.

Overtourism 2022: https://www.veneziepost.it/turismo-veneto-tra-le-mete-piu-ricercate-da-europei-e-italiani-per-agosto-2022/

Ora ho 27 anni, e a Venezia in pianta stabile non ci sono più tornata. Se a 18 anni sognavo di andarmene senza margini di mediazione, ora sono titubante. La guardo dal finestrino di un aereo, a una distanza che si riduce sempre di più. È bellissima, mi intristisco. Mi viene in mente una puntata della sit-com dei Rugagiuffa. Si chiamava così: “Venezia è bella ma ci vivrei.” Finalmente sorrido.

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Irene Pinto
Pianista di origine, ama il suono del violoncello e quello delle lingue straniere, e da sempre si diverte a indovinare la provenienza delle persone intorno a sé. Oggi dottoranda in economia per il turismo culturale, Irene è un’insaziabile esploratrice di mondi vicini e lontani. Mentre si interroga su cosa vuole fare da grande, ama scrivere dei suoi viaggi, anche di quelli mentali.