Questo è un piccolo esperimento

Apprezzare, vivere, costruire un luogo, pensandolo

Caro Lettore,
Questo è un piccolo esperimento.
Pensa a un certo luogo. Di questo luogo elencherò alcune caratteristiche, senza rivelare di quale specifico posto si tratti davvero. Bada, Lettore, che non è un indovinello. Non c’è una strategia ottimale e neanche una risposta corretta.

Ecco le istruzioni per l’esperimento.

È uno spazio in cui ci sono delle persone,
queste persone sono varie e diverse, casuali o speciali,
vanno e vengono;
si viene in questo luogo per tanti motivi, o per nessuno in particolare,
oppure ci si può venire – quasi – tutti per la stessa ragione;
qui, tante cose accadono contemporaneamente,
parlare,
camminare,
guardare,
pensare,
ascoltare,
mangiare e bere,
imparare,
oppure proprio ‘fare niente’.
Queste sono le cose più comuni che si fanno in questo spazio.

È un posto bello, caro Lettore, bello per Te;
un posto che ti piace perché ti fa stare bene
ogni volta,
qualche volta,
mica sempre per forza,
quando sei lì per un certo motivo,
quando sei lì senza un vero motivo (può succedere),
quando ci vai con certe persone o con nessuno.

Ci stai bene perché si creano piccole magie,
quando, per qualche ragione, persone sconosciute diventano un gruppo.
Ecco, questo elemento è cruciale:
in questo posto è facile che si verifichi qualche condizione capace di creare legami tra persone che si trovano lì e non si conoscono.
È un posto in cui si creano degli equilibri sociali,
anche se si tratta di equilibri fragili,
addirittura fragilissimi.

Basta poco perché le piccole magie si interrompano,
ma la cosa bella sai qual è?
Che non ci vuole niente a crearle.

A cosa stai pensando, Lettore?

Scrivo queste righe dall’aeroporto di Fiumicino. Davanti a un pianoforte. Una ragazza giovanissima sta suonando. È diventato un concerto. Tra un pezzo e l’altro noi, gente a caso, sconosciuti che aspettano un volo, che sono diventati una audience, un gruppo, applaudiamo. Un signore e io abbiamo fatto un video. Sono rimasti pochi posti liberi. Quasi tutti i passanti si fermano ad ascoltare, sorridono. Nessuno chiacchiera o parla al telefono. Tutti ascoltano, oppure muovono la testa e le mani a tempo – a questo punto la pianista suonava qualcosa di molto famoso. Hanno chiamato il suo volo, la pianista ha dovuto smettere. Le sedie della sala d’aspetto si sono svuotate. La magia si è interrotta. Ma ecco che si siede qualcun altro sullo sgabello dello Yamaha a coda, nero, elegante nonostante il contesto. C’è un signore con gli occhiali che stava aspettando che qualcuno tornasse a suonare: ha smesso di scrivere –stava scrivendo- e ha preso ad ascoltare, sorridendo. Fa un video.

A cosa serviva questo esperimento?

Quando capito in posti come questi, io torno a casa con qualcosa di prezioso. E ne sono felice.
Il mio posto non è solo il terminal D dell’aeroporto di Roma.
Io mi sono convinta che, in fin dei conti, questi posti possono stare ovunque. Non è un controsenso! I posti sono importanti per quello che ci capita dentro. Anche il paesaggio, il contesto, il contorno fanno parte di cosa ci capita, siano essi belli, brutti, di pregio, in degrado, naturali, costruiti.

Allora, questo esperimento sarà servito, Lettore, se oggi, dopo aver letto queste poche righe, avrai pensato al Tuo posto. Se invece non sarai riuscito a fartene venire in mente uno, sarebbe splendido se durante la giornata, in metro, al parco, in un museo, affacciato alla finestra di casa tua, lo trovassi.

Il mio scopo era svelare la magia di questi luoghi, che diventano tali solo quando inizia la magia.

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Valeria Morea
si occupa di ricerca in economia della cultura con un focus sulla dimensione urbana all'università IUAV di Venezia. Precedentemente, ha insegnato diversi corsi all'università Erasmus di Rotterdam. Ha svolto un dottorato sull'arte pubblica e la teoria dei commons e ogni anno scrive di settore culturale nel mondo sul rapporto Io sono Cultura della Fondazione Symbola.