Professione Gallerista

Cristian Porretta – Galleria d’Arte Faber 

In cosa consiste il tuo lavoro? Cosa significa essere gallerista?
Questa è una domanda estremamente personale perché ognuno gestisce il lavoro di gallerista a seconda di come decide di impostare la galleria. Ci sono tantissimi aspetti che si fondono in questa attività. Prima di tutto si tratta di un’attività di commercio, in cui si deve parlare con un commercialista, acquisire un programma per gestire fatture e ricevute, conoscere la burocrazia, interfacciarsi con le istituzioni, gestire i rapporti con gli artisti e avere un minimo di conoscenza del diritto dell’arte. Un secondo aspetto è legato invece alla tipologia di galleria che si vuole portare avanti. La Galleria d’arte Faber è una galleria di ricerca, che lavora con artisti in fase di espansione e che lavora verso il pubblico, porta avanti i progetti e li comunica in maniera semplice e fruibile. Bisogna quindi programmare la stagione con attenzione, curare la carriera degli artisti e conoscere ciò che succede nel mondo dell’arte.

Faccio questo lavoro da otto anni ed è cambiato moltissimo da quando ho iniziato a ora. All’inizio ho fatto un business plan con tutto ciò che volevo ottenere in questa galleria, sia dal punto di vista artistico che economico: ho capito che taglio dare e qual era il mio target, ho imparato a parlare agli artisti, a capire i loro tempi, e negli anni sono cresciuto insieme a loro. 
Le mostre personali della Galleria d’arte Faber sono progetti che prendono forma insieme agli artisti, partono dalla loro ricerca e parallelamente si sviluppano in galleria. Al tempo stesso si cerca di avvicinare il pubblico all’arte contemporanea. Da quando è nato questo spazio ho sempre avuto una grande ambizione: il mondo dell’arte spesso è esclusivo ed elitario, io non ho il potere di cambiare radicalmente le cose, ma posso farlo qui dentro, e qui dentro si cerca di includere tutti.

Quali sono gli aspetti positivi o negativi di questa professione?
L’aspetto più bello di questo lavoro è poter lavorare con una materia bella come l’arte e con persone fantastiche. Questa è la fortuna di fare un lavoro indipendente in cui puoi scegliere con chi lavorare. Al di là del rapporto professionale, ci si trova a stretto contatto con gli artisti ed è quindi molto importante condividere un feeling. Il gallerista ha una responsabilità verso l’artista, che alla galleria affida una parte del suo lavoro. Un altro aspetto positivo è l’apprendimento: un gallerista deve sempre studiare. Deve essere un curatore, un economista, uno storico dell’arte, un appassionato, un tecnico. Una galleria oggi è una vera e propria attività culturale in cui è necessario sempre aggiornarsi e non si finisce mai di imparare. Per continuare a studiare serve tanta passione, ma questo è un lavoro che senza passione non si può fare.

Due cose brutte che mi vengono in mente sono la totale assenza di considerazione da parte delle istituzioni economiche statali, la mancanza di tutele e supporti sul territorio e “l’ambiente artistico”, cioè l’ambiente che attualmente gestisce la comunicazione dell’arte e veicola ad alto livello i messaggi del mondo culturale. Questi aspetti rendono il lavoro di una galleria indipendente molto complesso.

Quali sono le doti naturali o i talenti personali che credi ti consentano di svolgere al meglio questa professione?
Un fattore, non legato solo al lavoro ma che mi è tornato sempre utile, è l’educazione. Se sei una persona educata ti relazioni con il pubblico, con i clienti, gli appassionati o i fruitori in maniera migliore. Questa cosa è molto apprezzata anche dagli artisti, vedo che c’è grande fiducia nei confronti di questo spazio, vedo che sanno che qui dentro viene dato il massimo e c’è grande rispetto per tutti.
Per il resto ho fatto tesoro delle mie esperienze! Mi sono servite tutte le esperienze che ho fatto in vita mia, dalla laurea, all’esperienza in teatro, ai lavori in gruppo. Un gallerista deve essere intelligente nell’affidarsi a professionalità alte per le attività che sa di non poter fare da solo e in questo saper collaborare è fondamentale.

Come sei arrivato a fare questo mestiere? Qual è stato il tuo percorso formativo e lavorativo precedente?
Ho iniziato questo mestiere un po’ per caso. Ho studiato scienze politiche, qualcosa di molto diverso dall’arte, ma sono riuscito a far fruttare quell’esperienza nella galleria. Successivamente ho studiato storia, mentre lo studio della parte artistica è nato dalla passione ed è stato grandissimo e continuo. 
Ho avuto la possibilità di fare cinque anni di esperienza in uno spazio che non era il mio, dove ho imparato molte cose. Quest’esperienza mi ha insegnato i primi rudimenti di un allestimento, come coordinare uno spazio al meglio, come gestire i rapporti. È stato un esercizio molto utile per ciò che ho fatto dopo.  È un percorso che consiglio di fare a tutti perchè quello che si impara con la pratica e che si capisce “facendo” è qualcosa che non ti insegna nessuno. Ho anche conosciuto molti artisti facendo quelle che oggi si chiamano studio visit. Lavorare insieme agli artisti mi ha fatto cambiare la prospettiva, ho iniziato a pensare a un tipo di spazio espositivo diverso e piano piano ho iniziato a selezionare alcuni artisti che mi piacevano. 
Un punto di svolta importante nella mia carriera, quello che mi ha convinto a continuare in questo mestiere, è stato l’incontro con Valerio Giacone. Aveva una trentina d’anni, era un artista giovane e io in lui ho visto un talento puro. Abbiamo fatto una mostra insieme ed è andata benissimo. Lui ha capito che quella era la sua strada e io che questo era il lavoro che volevo fare. Da lì mi è stato chiaro qual era il tipo di galleria che volevo e in cui credevo.

Io e mia moglie abbiamo fatto uno sforzo per renderci indipendenti. Avevamo in mente cosa volevamo fare, avevamo studiato il panorama artistico e avevamo la nostra idea di arte. La Galleria d’arte Faber è nata nel 2013, la scelta del nome richiama un’arte che mantiene il legame con la materia. 
Successivamente un altro punto di svolta nella mia carriera è stato l’incontro con Alessandro Kokocinski. Avevo visto una sua mostra a Palazzo Venezia e prima di quel momento solo Chagall mi aveva fatto un’impressione così dirompente, mi aveva lasciato a bocca aperta. Un’arte di quel livello mi ha scatenato un salto di passione notevole. Mi sono detto che sarebbe stato bello se il primo artista nella mia galleria fosse lui e allora l’ho contattato. Lui mi ha invitato a studio e abbiamo parlato molto. In lui ho trovato una guida a livello artistico, mi ha aiutato, ci siamo trovati in sintonia ed è nata un’amicizia. Poter lavorare con un artista a quei livelli per me è stato fondamentale.
Queste sono state le svolte della mia vita professionale. All’inizio sono state un po’ fortunate e casuali, dopodiché quel che abbiamo raggiunto con la galleria è stato frutto di grande lavoro e programmazione.

Quali sfide vedi per il futuro della tua carriera e del tuo settore?
Ci penso e ci ripenso. Non lo so. Nel momento di chiusura dovuto alla pandemia c’è stata una schizofrenia nell’ambiente artistico nel correre verso qualcosa per cui non si era preparati. L’ambiente era abbastanza fermo per quanto riguarda la diffusione e la rete. C’è stata una sorta di corsa all’online: arte virtuale, viewing room, social media. Questa cosa, a mio avviso, per l’arte non funziona automaticamente, l’arte deve avere una sua fisicità. Si può comprare qualsiasi cosa senza vederla, ma non l’arte. L’arte la devi vedere, è qualcosa che genera un’emozione particolare, che coinvolge i vari sensi, non è un fattore puramente estetico, è qualcosa che fa provare emozioni personalissime. Questa per me è una ricchezza e una peculiarità dell’arte, di chi si appassiona, di chi la pratica e anche di chi solo la guarda.

Da quando faccio questo lavoro noto che una cosa bella del mondo artistico, che secondo me rimarrà nel futuro di questo campo, è che l’arte è “esclusiva” non nel senso che esclude qualcun altro, ma nel senso che chiunque può avere la possibilità di vivere un’esperienza esclusiva, solo sua, unica, totalizzante. L’arte rappresenta in questo caso un unicum che mantiene un rapporto diretto tra uomo e prodotto artistico. Io lavoro in questo senso. 

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