Hanno ammazzato il libro. Il libro è vivo!

Tempo fa si è diffusa la notizia che il mercato dei libri in Italia è tornato a crescere, dopo sette anni, per numero di copie vendute. Il dato entusiasmante, proveniente da fonte ISTAT, riguarda una crescita del 5,8% a valore sull’anno precedente, e comprende la stima delle vendite di Amazon, che come tutti sanno non mette a disposizione degli ana-listi i suoi dati di vendita reali.

Fin qui tutto bene, ma non basta. I dati dell’ AIE, l’Associazione Italiana Editori, che si possono liberamente consultare qui (http://www.aie.it/Cosafacciamo/Cifreenumeridelleditoria/Mercatoeindaginidisettore.aspx) non solo confermano che il mercato del libro, in termini di spesa diretta con i suoi 2,7 miliardi è il secondo mercato più florido all’interno del mercato culturale italiano dopo l’abbonamento alla Pay TV. Ma che gode di una salute decisamente migliore rispetto al cinema, alle mostre e alla musica.

A dispetto di quanto dicono i giornali gli analisti sostengono che il fenomeno non sia da attribuire esclusivamente all’e-commerce. Anche se la domanda complessiva dell’e-commerce in Italia nel 2016 è cresciuta del 28%, e la quota di mercato delle librerie online sia ormai arrivata al 21% sul totale del mercato librario, nel momento in cui stiamo scrivendo in Italia solo una piccolissima parte di acquirenti cercano i libri online: l’8,7% (Fonte Netcomm 2017). Tutti gli altri continuano a frequentare sempre di più le librerie di catena (+2,7% sull’anno precedente) e comunque volentieri anche le librerie indipendenti (-2%).

A cosa dobbiamo dunque questa crescita? Un po’ allo Stato, un po’ al mercato. Se da una parte gli operatori si sono accorti, solo quest’anno, che il libro non segue un andamento anticiclico – quindi cresce, di poco, il PIL e cresce anche il libro – dall’altra lo Stato ha finalmente iniettato nel sistema un po’ di risorse. A differenza di quanto fatto in precedenza, il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo e il Governo hanno introdotto negli ultimi 3 anni una serie di misure che hanno sicuramente spinto i consumi: la APP 18, l’equiparazione dell’IVA sugli ebook all’IVA sui libri, il cosiddetto Bonus insegnanti e adesso anche il credito d’imposta per le librerie.

Tutti contenti?

La risposta dipende sempre dai punti di vista. Ad esempio, mentre l’ISTAT ci dice che il venduto delle librerie aumenta, ci dice anche che i dati relativi alla lettura in Italia sono tra i più bassi d’Europa, e che solo il 40,5% della popolazione adulta ha letto almeno un libro nel corso del 2016. L’AIE aggiusta un po’ il dato aggiungendo al computo rispetto all’ISTAT anche i libri che gli italiani intervistati hanno letto per lo studio e la professione, arrivando a una percentuale del 62%. Un piccolo correttivo che ci salva dal confronto con la Bulgaria e con Cipro, ma che ci colloca comunque tra gli ultimi in Europa.

Se non leggono, o leggono sempre di meno, cosa fanno dunque gli italiani nel loro tempo libero? Anche senza prendere in mano le statistiche possiamo rispondere: guardano la Tv, navigano in Internet. Il tempo del consumatore, che è la merce che oggi si contendono gli operatori dei beni non necessari, viene dedicato principalmente ai social network e alle serie TV. Questo è il trend che gli analisti ci raccontano da alcuni anni.

Naturalmente lungo l’asse che separa apocalittici e integrati, tra operatori che si ritirano da un mercato agonizzante e coloro che investono nelle librerie del futuro artificialmente intelligenti, ci sono una serie di posizioni intermedie e perplesse. La maggior parte è impegnata a cercare la risposta ai propri dilemmi attraverso l’osservazione dei comportamenti del consumatore. Sotto la lente d’ingrandimento degli operatori e dei regolatori, i consumatori da alcuni anni vengono vivisezionati: cosa leggono, quando leggono e quanto. Come si muovono all’interno di una libreria e in cerca di cosa; come navigano online, passando per quale sito; come si informano prima di acquistare, chi li influenza maggiormente, come si possono persuadere all’acquisto. Qual è il sottofondo musicale più adatto. La profilazione è il mantra con cui tutti gli operatori del mercato devono fare i conti. Anche i librai.

Anche i librai indipendenti, cioè quegli imprenditori, proprietari di un piccolo negozio di provincia, dovrebbero fare ricorso alla profilazione dei propri clienti.

Librai 2.0
Ospite del XXV Seminario di perfezionamento per i librai italiani organizzato come ogni anno a Venezia dalla Fondazione Umberto e Elisabetta Mauri, Matthieu de Montchalin, direttore della libreria L’Armitière di Rouen, ci racconta cosa è successo in Francia dopo l’arrivo di Amazon, cioè dopo che le librerie indipendenti hanno iniziato a vedere diminuire le vendite. «È iniziato un momento di grande vivacità» dice «tra i librai indipendenti» – che in Francia sono 3600 con una quota di mercato del 30-40% – (n.d.r) «Abbiamo smesso di parlare di prezzo fisso del libro e abbiamo iniziato a guardare dentro le nostre librerie». Hanno anche, aggiungiamo, messo in rete e a disposizione dell’Osservatorio francese sulle librerie, e quindi anche dei librai concorrenti, tutti i loro dati di vendita.

E da noi in Italia? In un Paese in cui si fatica sempre più ad ammettere gli errori e le responsabilità, l’annuncio di una seppur lieve ripresa del mercato a valore (senza tenere conto dell’aumento del prezzo medio del libro nell’ultimo anno, ma questo è un dettaglio) è sufficiente a spostare ancora una volta l’attenzione altrove. Citando Flaiano, secondo i librai italiani «la situazione è grave ma non è seria». Si rimanda in questo modo con una battuta la necessaria presa di posizione da parte di chi i libri in Italia li produce.

Ci sarebbe da chiedersi se sia ancora utile continuare a studiare ossessivamente la domanda di cultura e di libri in Italia, senza che i risultati di tali studi vadano mai ad influenzare né le decisioni relative alla produzione, né quelle relative alla distribuzione di libri. In questi ultimi anni, in piena crisi, l’unica risposta che abbiamo avuto dal lato dell’offerta libraria è stata una maggiore concentrazione dei poteri, con buona pace dell’Antitrust. Alle richieste reiterate da parte dei lettori di migliorare l’offerta producendo meno titoli di migliore qualità, gli operatori di mercato hanno risposto con un miope gigantismo.

I dati ci dicono che in Italia vengono pubblicati ogni anno circa 70.000 novità. A chi giova una tale mole? Abbiamo così tanti lettori da giustificarla?

Come sempre in questi casi, le giustificazioni addotte dagli operatori si rifanno alla nobi-le teoria del pluralismo dell’offerta, che dovrebbe garantire a tutte le espressioni del pen-siero di ricevere sostegno e diffusione e a tutte le fasce di lettori di incontrare il libro giusto per i propri gusti.

Niente da dire. Se non fosse per il fatto che le scarse risorse umane, materiali e organiz-zative di cui dispongono gli editori italiani non consentono una gestione razionale dell’offerta in termini qualitativi, con il risultato che vengono immessi sul mercato non centinaia, ma migliaia di libri che non hanno assolutamente nessuna chance di essere letti da nessun lettore. O che, peggio ancora, vengono letti per sbaglio e gettati subito via.

Una riflessione sul libro
Quello che manca e ci manca è una seria riflessione sul libro come prodotto culturale: sulle sue caratteristiche intrinseche, sugli effetti e i benefici che un buon libro può avere sul mercato librario in generale e sul progresso della società; sul suo valore reale, sulle esternalità positive che produce in termini di effervescenza all’interno del sistema. Ma anche, al contrario, manca la consapevolezza degli effetti deleteri che un pessimo libro e una pessima produzione possono avere sul lettore. Il quale naturalmente verrà portato a cercare altro.

Se non si torna a riflettere sull’oggetto libro e la sua unicità, considerando anche l’impossibilità da parte del lettore di valutarlo prima di averlo letto e acquistato, se non teniamo da conto che il produttore si avvantaggia di moltissime asimmetrie informative e le usa a proprio favore non sapremo mai sollecitare una risposta da parte del lettore. Questo 40% (o 62%, che dir si voglia) di lettori italiani eroici, costretti a barcamenarsi all’interno di un’offerta ridondante e scadente alla ricerca dei pochi luminosi esempi di buona scrittura, dovrebbe essere ascoltato e non semplicemente profilato. Comprende-remmo allora la banale circostanza che tutti leggerebbero di più avendo a disposizione qualcosa di meglio da leggere.

Annalisa Veraldi

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