Perché Perfect Days è un film che non si dimentica

 

È trascorsa una settimana o poco più da quando ho visto l’ultimo film di Wim Wenders, Perfect Days. Oggi, guardo alla settimana trascorsa e mi accorgo di aver pensato a Hirayama e alla sua esistenza ogni giorno, forse più volte al giorno. Era da molto che non mi capitava o, forse, era la prima volta.

Pensavo che il fatto di portarselo dentro per giorni e giorni e chi lo sa ancora per quanto tempo, senza mai dimenticarne un frammento ma anzi recuperandone le poche parole, i gesti e le immagini un po’ alla volta, potesse essere una questione personale. Quella sera al cinema ero da sola, quindi non ho avuto confronti immediati. Però il pensiero costante che ha accompagnato la settimana passata mi ha dato modo di condurre un mio sondaggio informale, raccogliendo infine sensazioni così simili alle mie da confermarmi la forza di questo film.

Personalmente, una volta uscita dal cinema ho attraversato sotto la pioggia battente una Piazza Vittorio grande e deserta. E poi ho pianto.

Prima di entrare, ero leggermente infastidita del fatto che lo spettacolo delle 18 non fosse in lingua originale, il giapponese. Per fortuna, entrando poco alla volta nel cuore del film, ho scoperto che i dialoghi sono marginali, così come la trama. Le parti più intense e evocative sono proprio quei silenzi che attraversano gran parte della giornata di Hirayama. Sembra che la sua vita, o almeno quella porzione di vita raccontata, trovi significato proprio nei silenzi, e che le parole siano alla fine solo un contorno scelto per rafforzarne il ritmo poetico e riflessivo.

Grazie ai rituali che ne scandiscono le giornate, Hirayama entra perfettamente in armonia con il contesto che lo circonda. È il ciclico strofinare di una scopa sul marciapiede sotto casa a svegliarlo ogni mattina. Sono le persone che entrano freneticamente nei bagni pubblici a intervallare il lavoro di Hirayama e lasciare spazio ai momenti di pausa meditativa. È il pranzo sulla panchina a offrirgli l’occasione per fotografare gli alberi e il cielo ogni giorno, per poi trasferire su carta opaca quella continuità immobile. E sono infine il momento dedicato all’igiene personale, la partita in tv al pub e la lettura prima della notte a riconciliarlo con l’inizio del sonno e la fine di un giorno perfetto.

Nel corso della giornata, Hirayama dialoga silenziosamente, risparmiando ogni parola o gesto superfluo e godendo invece di un rituale che lo accompagna fino a sera. Ed è la sua straordinaria sensibilità che lo mette in dialogo con l’invisibile: con il senza tetto che danza nei giardini, il bambino che piange a dirotto nel bagno del parco giochi, e poi con un silenzioso compagno di giochi che lascia un abbozzo di tris in uno dei bagni di Hirayama.

Solo due momenti riescono a penetrare dolcemente nel ritmo delle sue giornate, ed entrambi coincidono con l’arrivo di due giovani donne, proprio coloro che provocano nella routine di Hirayama un ritorno a un passato trascorso con una donna, rivissuto nel presente dall’inconscio e riflesso nei brevi momenti notturni che interrompono lo scorrere delle sue giornate. Questo ritorno viene raccontato come spontaneo, un momento inevitabile e reso in fin dei conti piacevole dalla presenza di Aya, l’immeritata fidanzata del collega Takashi, e poi dall’arrivo della nipote Niko, che crea una connessione con il passato del protagonista, svelandone a tratti, e sempre in modo silenzioso, alcune trame oscure.

L’inevitabile ritorno al passato addolcito da Aya e Niko viene reso brusco e travagliato da due figure complementari: Takashi, che dà egoisticamente un valore economico ai ricordi di Hirayama, tentando di vendere le audiocassette che scandiscono il ritmo delle sue mattine, e che Aya ha invece adorato. E poi c’è la mamma di Niko e sorella di Hirayama, che torna a prendere la figlia strappandola a quella realtà spirituale che è la vita dello zio. La presenza della donna sulla scena, che dura pochi minuti, ha la capacità di raccontare molto della vita di Hirayama e, allo stesso tempo, di riportare alla realtà non solo lui e Niko, ma anche noi.

È solo a questo punto, quando Hirayama scoppia in lacrime, che si svela a noi il dolore che naturalmente si fonde con quell’esistenza perfetta e imperturbabile.

La scoperta di una vita perfetta perché essenziale, silenziosa e intensamente emotiva, e poi della fragilità di quella stessa vita mi ha sconvolta. In quelle due ore, ho pensato di aver trovato la sostanza dei giorni perfetti. Eppure, così effimeri, alla fine mi hanno buttata violentemente in quello che è il mondo reale, che conosco fin troppo bene.

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Matilde Ferrero
Ricercatrice in economia della cultura, Matilde sogna di modificare le sorti dell'arte, di renderne visibili sfumature semantiche e implicazioni concrete. Le tremano le gambe davanti alle Alpi, alla cucina "di una volta” e alla poesia in tutte le sue forme.