Mirror, mirror on the Oscar-wall…

Cosa ci racconta la vittoria agli Oscar di Emma Stone della società occidentale 

Dopo i Grammy, che hanno visto il trionfo di Flowers di Miley Cyrus, e gli Emmy, dominati dalla serie tv Succession, nella notte di domenica 10 marzo, con la cerimonia degli Oscar, lo show business americano ha messo in scena un’altra stellare performance. Quest’ultimo evento chiude infatti la stagione dei grandi premi, che ogni anno, tra metà gennaio e inizio marzo, incorona tutti i migliori prodotti dell’anno precedente. Un momento di enorme importanza non solo per chi lavora in questi ambienti, ma anche perché rappresenta una sfavillante vetrina, lo specchio che l’America offre al mondo di sé. In un periodo così segnato da una generale sfiducia del cosiddetto “mondo contro” rispetto ai valori dell’Occidente, in cui il “sogno americano” sembra iniziare ad incrinarsi, tutti i riflettori sono puntati sul palcoscenico del Dolby Theatre: lo spazio più importante di tutti per trasmettere messaggi forti e prese di posizione decise.

Dopo un anno caratterizzato a più livelli dalla rivincita delle figure femminili, a sorpresa vince l’Oscar come Miglior attrice protagonista Emma Stone, con la sua interpretazione di Bella Baxter nel film Povere Creature! . Alla sua seconda nomination (la prima era arrivata nel 2017 con La La Land, che le permise di portare a casa anche allora la statuetta), l’attrice riesce a sbaragliare la concorrenza di Carey Mulligan (che ha portato in scena Felicia Montealegre, moglie del compositore Leonard Bernstein costretta a fronteggiare l’ego distruttivo del marito) e soprattutto di Lily Gladstone (magistralmente diretta da Martin Scorsese, che tuttavia negli ultimi anni non è stato valorizzato dall’Academy), prima attrice di origine nativo-americana a ottenere questa candidatura. Una vittoria del tutto inaspettata, che ha colto l’attrice e produttrice impreparata, lasciandola senza fiato per l’emozione all’inizio del suo discorso di ringraziamento.

Per la regia del cineasta greco Yorgos Lanthimos, con cui aveva già collaborato nell’acclamato La favorita, Stone porta in scena una donna semplice e complessa allo stesso tempo: una bambina, ma anche una giovane affamata di crescita e nuove esperienze. Bella è un ritratto affascinante e travolgente di una donna che non conosce limiti: una creatura innocente, senza filtri e disposta a tutto in nome di una curiosità atavica, incredibilmente vera e toccante.

Bella nasce infatti come frutto di un esperimento maschile, da un padre/Dio (non a caso il suo creatore si chiama God) splendidamente interpretato da Willem Dafoe, che ama la sua creatura di un affetto ruvido e costrittivo, ma che in definitiva non parla la stessa lingua della figlia. Una lingua fatta di emozioni ed esperienze senza filtri, che Bella vuole vivere sulla pelle anche a costo di fuggire con un primo “amore”.

Fin dal suo nome si assiste ad una dicotomia tra ciò che la ragazza è e ciò che sarebbe chiamata ad essere dagli uomini che la circondano. Bella dovrebbe essere appunto primariamente “bella”: una bambola da guardare, da dominare, un oggetto del desiderio da venerare ma a patto che non muova mai un passo. Passi che invece il personaggio si prende tutta la libertà di compiere, scoprendo un’irrefrenabile sessualità e voglia di vivere.

L’aspetto della rappresentazione della sessualità è quello che forse ha destato le critiche maggiori nei confronti della pellicola. Un elemento su cui si pone troppo l’accento, secondo i detrattori. Raramente la nostra società affronta il tema della sessualità femminile, specialmente parlandone senza toni accondiscendenti e metafore, così come per molte ragazze è ancora difficile capire cosa desiderano o semplicemente cosa può piacere loro, mentre gli studi sulla sessualità sono ancora dominati per molti versi da un punto di vista maschile (spesso portato avanti inconsapevolmente anche da figure femminili).

Lo specchio che ne risulta a livello sociale è un’immagine del femminile edulcorata, spenta e scialba, quasi un fantasma. Bella Baxter ci ricorda invece che una donna è fatta di carne, sangue e curiosità; e, tanto quanto un uomo, può essere mossa dal desiderio di esplorare ed esplorarsi, fino a giungere alla scoperta dei suoi limiti.

Come donna libera, Bella è sottoposta ad una certa dose di disprezzo da parte della società, cosa che la porterà ad affrontare diverse situazioni negative. La giovane però non si arrende mai, trasformando ogni esperienza in un’occasione di crescita. Ad alcuni anni da quando questo termine è entrato nel nostro linguaggio comune, Bella ci insegna davvero cosa significa essere una donna “resiliente”: non sottomessa, non tacitamente accondiscendente, non in attesa che tutto passi come un sasso sul gretto di un torrente; una donna che apprende, elabora, schiva quando si trova costretta a farlo, ma è in grado di scegliere le sue battaglie ed affrontarle a testa alta. E soprattutto che esce sempre vincitrice.

Una donna complessa: dietro la macchina da presa Lanthimos non si limita a ritrarla da un’unica prospettiva, quella più bella e patinata come una foto per Vogue, ma le gira intorno, la riprende da ogni angolatura quasi fosse una statua. Non solo: la lascia muoversi nello spazio, studia i suoi movimenti e lascia che questi dischiudano allo spettatore una conoscenza più profonda di quest’essere magico. Bella si dipana come una matassa, mostrandosi forte e fragile, sensuale e innocente: una complessità con pochi eguali sul grande schermo.

Durante la serata degli Oscar, Emma Stone sale sul palco dell’Academy incredula e senza fiato, con l’abito da sera comicamente strappato sul retro (“credo sia successo durante I’m just Ken” ironizza). Nel suo discorso ringrazia le donne che la circondano sul palco, a partire da Michelle Yeon, vincitrice l’anno precedente nella medesima categoria e prima donna asiatica a portare a casa una statuetta, e le donne in platea, tra cui Lily Gladstone, prima nativa americana a vincere il Golden Globe. 

La strada, ci auguriamo, potrebbe non essere più tanto lunga e impervia: se oggi Emma-Bella porta in scena la liberazione della sessualità femminile, possiamo ben credere e sperare che sul palco dell’Academy saliranno in futuro sempre più donne appartenenti a etnie diverse da quella maggioritaria.

Gli Oscar sono lo specchio dell’America: il più patinato ma anche paradossalmente il più veritiero. Raccontano lo sguardo e il sentimento della società americana e, per traslato, di tutta la nostra società occidentale a cui è legata e da essa dipende. Un mondo che sta cambiando, e fortunatamente, anche la sua rappresentazione. And the Oscar goes to…

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Valentina Brosolo
Storica dell'arte a cui non piace occuparsi solo di arte e grande appassionata dell'uso della parola: oggi si dedica alla progettazione culturale e alla divulgazione. Crede fermamente che il mondo si esprima primariamente tramite le immagini e che un post di instagram abbia la stessa dignità comunicativa di un quadro in un museo. Alla fine dei conti: la cultura è lo strumento che salverà il mondo.