L’arte contemporanea in dialogo con l’intelligenza artificiale. Il bando di Re:Humanism

Un anno fa alcuni utenti di Instagram venivano terrorizzati da un Mark Zuckerberg che annunciava al mondo di aver consegnato i dati di miliardi di utenti a un’entità imprecisata. Se oggi mi ritrovo a scriverne significa che il video era un deepfake, ovvero un filmato fatto di immagini corporee e facciali catturate in Internet, rielaborate e adattate a un contesto diverso da quello originario tramite un algoritmo. Apparentemente uno scherzo di poco conto, il video poneva in realtà questioni essenziali sul ruolo dell’intelligenza artificiale come valido surrogato dell’essere umano, sulla difficoltà nel distinguere il vero dal falso e sulle derivazioni legali legate al fenomeno.

Quando si pensa all’intelligenza artificiale, si viene automaticamente proiettati in una puntata di Black Mirror, in uno scenario distopico dove l’essere umano viene assoggettato, o peggio, cancellato da una sua stessa creazione, una creatura mitologica fatta di algoritmi. Riavvolgendo il nastro, ci si rende conto che la creatura mitologica è più vicina al quotidiano di quanto non si creda. L’uomo contemporaneo utilizza già l’intelligenza artificiale, ogni giorno e più volte al giorno. In termini tecnici, l’intelligenza artificiale è un ramo dell’informatica che permette la programmazione e progettazione di sistemi che permettono di dotare le macchine di caratteristiche considerate tipicamente umane, quali le percezioni visive, spazio-temporali e decisionali. Si tratta cioè, non solo di intelligenza intesa come capacità di calcolo o di conoscenza di dati astratti, ma anche e soprattutto di quelle forme di intelligenza tipiche della sensibilità umana, che vanno dall’intelligenza spaziale a quella sociale, da quella cinestetica a quella introspettiva. In breve, Google translate, Google maps, Siri, Netflix, Amazon sono regolati dall’intelligenza artificiale.

Tuttavia, non si deve pensare che la nascita dell’intelligenza artificiale sia questione recente. Già nel 1956, veniva presentato Logic Theorist, un programma capace di portare a termine alcuni ragionamenti logici legati alla matematica. Nel corso degli anni, il progresso legato alla nuova tecnologia continuava a dimostrarsi insufficiente per la riproduzione delle capacità intuitive tipiche dell’essere umano, basate sull’abilità di proporre soluzioni a partire dell’analisi di un campionario di possibilità. La svolta si registrava più tardi, con l’introduzione di un algoritmo che permetteva l’apprendimento per reti neurali, coprendo aree di elaborazione sia informatiche sia psicologiche. Il primo vero successo, nel 1996, vedeva il confronto tra Deep Blue, una macchina realizzata dalla IBM, e il campione di scacchi allora in carica Garry Kasparov. Proprio le prime vittorie del campione servivano da input per apportare continui miglioramenti al sistema di apprendimento di Deep Blue, permettendo così di assicurare la vittoria alla macchina nelle partite successive. Una vittoria che, come confermava lo stesso Kasparov, era da ricondurre al raggiungimento da parte della macchina di un livello di creatività così elevato da andare oltre le conoscenze del giocatore stesso.

Nonostante la creatura mitologica sembri adesso un po’ più familiare, è bene non tralasciare gli aspetti di rischio che ne derivano. Ufficialmente individuati in occasione dell’inserimento dell’intelligenza artificiale tra gli elementi di supporto alla realizzazione degli obiettivi per l’Agenda 2030, i rischi vengono identificati nell’aumento delle disuguaglianze a livello locale, nazionale e internazionale, nel pericolo di manipolazione dei processi politici e di generazione di false informazioni, nell’alterazione del mercato del lavoro attraverso una crescente sostituzione della forza lavoro da parte delle nuove tecnologie, e nell’assenza di normative di riferimento. Un bacino di rischi che richiede una riflessione anticipata e veloce, da attivare il prima possibile.

All’indagine sulle potenzialità e i rischi legati all’intelligenza artificiale si unisce l’arte contemporanea, confermando il proprio ruolo di centro per lo sviluppo di idee al servizio della società. Promotrice della ricerca è la Fondazione Prada con il progetto Human Brains, che prevede un programma triennale di mostre, incontri pubblici e attività editoriali. Altro pilastro della ricerca artistica contemporanea a livello nazionale, il MAXXI inserisce in agenda una mostra dedicata alla riflessione sull’intelligenza artificiale, declinata in tutti i suoi sviluppi. L’esposizione, fissata per maggio 2021, è il momento finale di un progetto pensato dall’associazione culturale Re:Humanism. La selezione degli artisti che esporranno al MAXXI si è aperta il 27 ottobre con il bando legato alla seconda edizione del Re:Humanism Art Prize, un premio incentrato sulle relazioni tra arte contemporanea e intelligenza artificiale. Il progetto, nato nel 2018 in risposta all’esigenza di riflettere sul progresso tecnologico nell’epoca contemporanea, è stato ideato e realizzato da Re:Humanism e curato dalla storica dell’arte e curatrice Daniela Cotimbo. Il bando della seconda edizione è rivolto ad artisti di tutte le età e provenienze geografiche, che possono partecipare presentando i propri progetti fino al 12 gennaio 2021 e seguendo le cinque aree identificate da Re:Humanism per indirizzare la ricerca degli artisti: corpo e identità nell’era dell’IA, machine learning robotica e computer vision, politiche e abusi dell’IA, antropologia dell’intelligenza artificiale, visioni per il futuro del pianeta. Le opere saranno sottoposte alla valutazione di una giuria composta da esperti, ovvero l’amministratore delegato di Alan Advantage Alfredo Adamo, le curatrici, storiche e critiche d’arte Daniela Cotimbo, Federica Patti e Ilaria Gianni, il curatore e storico dell’arte Valentino Catricalà, l’artista Lorem, il ricercatore e fondatore del Visual Artificial Intelligence Lab all’IBM Research Mauro Martino, il docente di Filosofia e Etica dell’ Informazione all’Università di Oxford Luciano Floridi, e il Product Director di Google Trond Wuellner.

Forte di una fortunata prima edizione, la giuria è pronta a ricevere un alto numero di progetti. Nel corso della scorsa edizione, sono stati premiati dieci artisti, selezionati a partire da circa centoventi proposte provenienti da tutto il mondo. Le sfide portate in campo dalle opere degli artisti selezionati si sono rivelate terreno fertile di dialogo non solo con il pubblico, ma anche con il settore dell’industria, che dalla ricerca artistica può trarre spunto per l’identificazione di bisogni, sviluppi e modalità di utilizzo legati alle nuove tecnologie. Gli spazi di AlbumArte, a Roma, hanno presentato il risultato di Re:Humanism1 l’anno scorso ad aprile, dedicando i propri spazi ai tre artisti vincitori del premio e ai sette finalisti.

Al primo posto l’opera di Nguyen Hoang Giang, denunciava il fallimento del rapporto uomo-macchina, in particolare in relazione alla sfera dell’apprendimento. The Fall si componeva di due sezioni complementari, una performance e un’installazione. Il performer ripeteva un’azione indicatagli da un tutorial per riprodurre la caduta di un robot. La performance risultava in un’azione lenta e meccanica, che finiva per rendere il corpo del performer incredibilmente artificiale. Così l’artista, attraverso il processo tecnologico, rappresentava la caduta, azione casuale e imprevedibile per eccellenza, come comportamento controllabile e misurabile.

My Artificial Muse era il titolo della seconda opera premiata. Questa volta una performance come risultato del progetto realizzato da un trio artistico. Albert Barqué-Duran, Mario Klingemann e Marc Marzenit rileggevano insieme l’antico e universale concetto di musa ispiratrice, ponendolo in relazione con la creatività artificiale. Attraverso la produzione di un dataset di immagini, i tre artisti collaboravano con la tecnologia alla realizzazione di un dipinto, aprendo la riflessione sulle potenzialità creative della tecnologia.

 

Enrico Boccioletti era il terzo a salire sul podio della prima edizione di Re:Humanism con l’opera Devenir-Fantôme, conclusione di un lavoro di ricerca dedicato ai limiti dell’empatia nell’era dell’intelligenza artificiale. L’installazione sonora, collocata in uno spazio pensato e allestito per veicolarne la ricezione, comunicava allo spettatore una sensazione complementare di fascino e agitazione, reazione automatica dell’essere umano di fronte alla riproduzione artificiale del suo fare e sentire.

Le due edizioni di Re:Humansim proseguono così la ricerca artistica sull’intelligenza artificiale, toccata negli ultimi anni dai grandi protagonisti dell’arte contemporanea, come la videoartista Rachel Rose, tramite l’impiego della computer technology. I suoi film creano per lo spettatore un’esperienza di materialità attraverso immagini e suoni interamente manipolati da un processo di editing. Immagini di tranquillità naturale vengono destabilizzate dalla presenza dell’artificiale, stimolando una riflessione sull’impatto della tecnologia nella serena quotidianità del pianeta Terra. Un approccio polemico e disilluso quello di Rachel Rose che richiama il lavoro di Hito Steyerl. In un’epoca in cui il mondo dell’arte resta a bocca aperta davanti alle prime “opere d’arte” realizzate dall’intelligenza artificiale e ne legittima la presenza sul mercato, l’artista mette in discussione le applicazioni dell’intelligenza artificiale. Rivolge la sua polemica alle grandi aziende che sviluppano tali tecnologie in base ai propri interessi economici, lasciando la società in generale all’oscuro di un dibattito che ne sta già modificando le condizioni di vita. Le sue opere invitano a non sopravvalutare il fenomeno dell’IA, senza però trascurarlo, e a riflettere sulla nudità dell’algoritmo, visibile attraverso le immagini che solo gli artisti sono in grado di mostrare. In dialogo con la ricerca artistica di Hito Steyerl è l’opera di Ian Cheng, che impiega tecniche di programmazione informatica per creare ambienti viventi, definiti dalla capacità di mutare ed evolvere. Le sue simulazioni dal vivo sono ecosistemi virtuali viventi, che partono da basilari proprietà programmate, liberi di auto-evolversi senza un controllo dell’autore né una fine. Le opere dell’artista “sono un mezzo per esercitare deliberatamente le sensazioni di confusione, ansia e dissonanza cognitiva che accompagnano l’esperienza del cambiamento incessante”. La sua creatura più recente, BoB (Bag of Beliefs), presentata alla Biennale di Venezia, è una forma di intelligenza artificiale con una personalità, un corpo, i cui schemi comportamentali e copione esistenziale risultano alimentati dalle interazioni con i suoi spettatori, che ne influenzano le azioni tramite un’app.

La seconda edizione di Re:Humanism Art Prize si inserisce nell’ambito di una riflessione che coinvolge i più diversi campi della ricerca contemporanea, oltre che in una più ampia legittimazione dell’arte come alleata e compagna della scienza, del progresso e dell’industria. Entrambe le missioni non sono semplici ma richiedono tempo, flessibilità, incentivi, ricerca e grande ingegno. Intanto, le dieci opere selezionate per la mostra di maggio 2021 al MAXXI ci prenderanno per mano per guidarci tra le mille sfaccettature di un’intelligenza che contribuirà a determinare il destino dell’umanità nel corso del prossimo decennio.

 

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Matilde Ferrero
Ricercatrice in economia della cultura, Matilde sogna di modificare le sorti dell'arte, di renderne visibili sfumature semantiche e implicazioni concrete. Le tremano le gambe davanti alle Alpi, alla cucina "di una volta” e alla poesia in tutte le sue forme.